Francesco Portolesi, umanista




Ho già raccontato del segretario Portolesi, della sua vita, di quando si spretò. Ho potuto intervistare alcuni dei familiari, come mi soddisfa sempre fare, ogni volta che è possibile, al fine di raccontarvi delle stimolanti storie. Fernand Braudel diceva che non si dà infatti una storia, un mestiere di storico bensì dei mestieri, delle storie, un complesso di curiosità, di punti di vista, di possibilità cui altri si aggiungeranno ancora domani. Portolesi è stato soprattutto un grande uomo di lettere. Come abbiamo già visto, iDizionario bio-bibliografico dei letterati e giornalisti italiani contemporanei, compilato da Teodoro Rovito nel 1907 presenta un giovane ed egregio scrittore, nato in Platì di Calabria nel 1883. Collaboratore di giornali e riviste, come La Favilla, Il bibliografo, il Manzoni, La croce di Costantino, ecc. autore di un volumetto di versi d'indole sociale: Verso la luce 1906

In occasione della sua ascensione al sacerdozio pubblicò un album-ricordo. "Per l'idea", con scritti di Semeria, Murri, Fogazzaro, Ghignoni, ecc. Ciò è rimarcato anche in una bellissima lettera che nel 1905 il nostro Portolesi indirizza niente poco di meno a Giovanni Pascoli:
Illustre e grande maestro
La grande ammirazione per l'opera sua preziosa e la squisita gentilezza dell'animo suo che tanto più è umile per quanto grande, mi danno fiducia a scriverle. Alcuni amici fra i quali Murri, Ghignoni, Semeria ed altri, stanno preparando un piccolo album per ricordare la mia assunzione al sacerdozio. ora io ........ a lei il mio modesto invito, pregandola a favorirmi qualche cosetta finché il breve volumetto sia adornato dal suo nome prezioso.
Per la fede della mamma mia mi favorisca qualche cosa. Perché non vorrà mandarmi due versi fatti con quell'arte che l'è propria? Aspetto fiducioso, pieno della sua bontà di animo.
Le unisco alla presente alcuni miei versi, di un vorrà dare quel giudizio che si meritano.
Spero non isdegnerà darmi una risposta, con la più profonda ammirazione.
Platì di Calabria 10-06-1905
suo de.mo
Francesco Portolesi



Diversi articoli portano come titolo l'idea e in uno del 1905 si può notale la notevole mano poetica del segretario Ciccillo:
A L’IDEA
          Usque dum vivam et ultra
  Salve, mia Idea, fra tutte splendida,
bella fra tutte, che in te compendii
di tutti  gli umani ideali,
l’ideale più  fulgido e santo.
  Tu sola il cuore per sempre domini,
te sola sogna la mente giovine;
e scorge te l’animo, ovunque
c’è fame e freddo, pianto ed angoscia.
  Idea per te, miei figli reputo
tutti i fanciulli gialli e rachitici;
e chiamo fratelli diletti,
tutti i pezzenti scalzi affamati.
  Figli e fratelli: gli oscuri martiri
de l’officine, l’ignote vittime,
sudanti su l’aride glebe,
ne le pozzanghere de le risaie.
  Fratelli tutti, pur quei che muoiono,
ne gli ospedali, reietti e miseri;
che an monche le membra e le carni,
lacere e nere, stillanti sangue.
  Fratelli e figli: figli, ne l’anima,
voi bimbi belli, da li occhi vividi,
chiedenti con fioca vocina,
un soldo solo, di pane un tozzo;
  figli, voi bimbi, che ne’ più rigidi
del verne immite di brevi e torbidi
qui, sotto al balcone, passate
nudi i piedini sanguinolenti,
  scoperto il capo, la faccia' livida;
od al lavoro, le membra tenere
per pochi centesimi, offrite
assiduamente da mane a sera.
  E Voi sorelle reputo, povere
donne languenti per cruda inopia;
che il sangue dareste pe’ figli;
chiedenti il pane che non avete;
  per voi fanciulle, cui madri adultere
dal loro seno lange respingono;
cui del mercenario accoglie
la mano losca che sa la sferza;
  sorelle chiamo, o infelicissime
 o sventurate, cui attende il vizio,
 il vizio più osceno ed infame,
che poi sul volto portate impresso,
  Idea, per te, del cor mio i palpiti,
finché avrò vita, per loro scendono.
Potessi io vederli felici,
felici tanto, per quanto li amo ....

é sua la poesia che chiude il suo stesso necrologio del 1951, Umbrae


Ma mirabile è la composizione intitolate le Rose

Dopo le umili e modeste viole de l'aprile, le rose superbe ed uberi del maggio.
Sboccian da per tutto al mite favonio che le nevi discioglie, sotto il tiepido raggio del sole carezzevole. Un sottile profumo lontano ci annunzia il loro ritorno. E volgendo qua e là, con impazienza, la pupilla vivace, le vediamo, piene di vita novella, su le verande signorili, nel vano scuro de le ruvide finestre, nei giardini in fiore, lungo i sentieri rinverditi dei prati e de le ville, sui cigli erbosi de le gore stagnanti. Ve ne ha de le tinte più varie, dei colori più disparati; sempre belle pero, sempre morbide, vellutate, fragranti.
Spuntano e muoiono in un giorno. E mentre alcune in pieno rigoglio, vengono spiccate da la materna aiuola, altre ed altre sbocciano sul cespo odoroso, anelando a la vita. E, strette in mille varie fogge, in mille modi eleganti, si spargono per la città rumorose, per i villaggi tranquilli. Ogni luogo inondato dal loro profumo inebriante: da le gigantesche e maestose basiliche, a l'umili e bianche chiesette rusticane: dai superbi palagi signorili a l'umide e buie catapecchie de la povera gente. E non vi è persona che non l'ami, non gusti il profumo soave, non se ne adorni il seno.
Questo è il loro mese, il mese de loro sovrano imperio.    
E rose, e non altri fiori, sui pettini inamidati, sui cappelli a l'ultima moda, ne le mani e in bocca, a tutti. A volte anzi per le vie e una pioggia di petali multicolori, che scendono lievemente, titubando, dai balconi e da le terrazze, abbandonate" con compiacenza da mani gentili.  
Oh, le rose, le rose, piccole creature delicate, di quanti cuori non sono regine, di quanti animi magiche conquistatrici, di quanti affetti inconsce messaggere.
In Chiesa, su l'Altare de la Madonna, non vi sono che rose. Son disposte a cono, le uno accanto a le altre, in alto, fino ai piedi de la buona Madre Celeste. E tutte, sembra vogliano ascendere, ascendere per essere più da presso a la pia Signora, che guarda con occhio buono, sorridendo.
Ascolta Ella i fremiti indistinti, le vocine sommesse, i susurri lievi de le rose? Che dicono esse, ai suoi piedi, nel loro strano linguaggio? Che dicono sommessamente? Deh, scostiamoci per poco dai rumori assordanti de la vita quotidiana, inoltriamoci riverenti e devoti ne la bionda penombra del tempio, accostiamoci silenziosi a l'Altare di Maria.  Udite? In quelle rose vibra l'anima di un popolo di credenti. In esse sono i palpiti, le aspirazioni di tanti cuori avidi di luce; sono le angosce e le lagrime di tanti infelici trafitti dal dolore; le preghiere di tante madri che vogliono veder buoni i figliuoli traviati; di tante spose che intercedono pace pel marito lontano; di tanti operai che chiedono pane per le famiglie affamate. E palpiti ed aspirazioni, preghiere e gemiti, s’elevano come una voce sola da tutte le rose.
lvi non vi è distinzione di classe. Daccanto a, le rose scialbe e scolorite de la povera gente, stanno le rose superbe e roride dei nobili. Oh quante cose non dicono quelle rose molteplici, strette da un supremo vincolo di santo amore verginale, a la Regina dei Cieli. E potrà Ella, la Madre de le misericordia, non esaudire loro fervide preghiere sommesse?
Oh, le rese, le rose!  `
Siete tanto belle, fresche ed aulenti, rose del maggio. Ma - è triste il dirlo - la vostra, non e che bellezza effimera e passeggera. Io vi ammiro, sì, e son lungi da l’odiarvi. Ma il mio cuore, il mio vergine cuore di giovane levita, non è per voi. Esso ama un'altra rosa, una rosa che non appassisce mai, una rosa fulgida di bellezza, eterna: ama, la Mistica rosa dei Cieli, Maria.

Nel 1906 sulla rivista letteraria trimestrale "Alessandro Manzoni " leggiamo: 
-Verso la luce è il titolo d'un caro libriccino che l'amico nostro Francesco Portolesi ha licenziato alle stampe, e che contiene due belle poesie: Primo Maggio - XV Maggio. L'autore, il quale si è sacrato alle battaglie per l'Idea, ha voluto mettere in rilievo nelle due poesie i pensieri che dominano la mente degli operai senza Dio e di quelli educati alla scuola del Vangelo. Gli uni e gli alti hanno i medesimi desideri, vogliono pane e lavoro, ma i primi lo vogliono colle minacce:
Col vostro sangue, colla carne vostra
banchetteremo e morirem contenti:
alto intonando l'inno alla riscossa
del proletario.
I secondi invece le domandano per quei vincoli di carità che stringono tutti gli uomini in un comune ideale, lo domandono:
Per amor di Gesù, che si ebbe tanta
pietade delle turbe dei pusilli,
e disse, buono: amate  i poverelli,
per amor mio.
Il contrato fra i due tipo di proletari è vivo e penetrante e mostra la valentia dell'Autore che, maneggiando bene il verso, ha saputo metterlo in evidenza. A Ciccillo Portolesi un bravo. -

Articoli, recensioni di libri, poesie, saggi, sono diversi contesti letterari in cui il Portolesi ha strutturato la sua statura umanistica e si è consegnato ai posteri per essere letto e riscoperto.














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