Quando il segretario Portolesi si spretò


Il 1914 è il burrascoso anno dello scoppio della Grande Guerra. Nel mese in cui nella diocesi di Gerace si discuteva sul da farsi del giovane sacerdote Portolesi, i Tedeschi, nella battaglia della Marna sono fermati e costretti a ritirarsi. Il 29 ottobre la Turchia attacca la Russia e pochi giorni dopo, la Russia stessa con Serbia, Francia e Gran Bretagna le dichiarano guerra. Ma è anche l'anno in cui escono le Impressioni e improvvisazioni di Kandinskij. Filippo Tommaso Marinetti scrive il poema futurista Zang, Tumb Tumb. A Hollywood Mack Sennet induce Charlie Chaplin a fare del cinema: esce il cortometraggio Making a Living. Esce il film colossal Cabiria di Giovanni Pastrone con B. Pagano nella parte di Maciste. Si inaugura il canale di Panama costruito e gestito dagli Stati Uniti.  Lenin da Berna imposta l'atteggiamento da seguire nei confronti della guerra. Dall'America Latina arriva in Europa il tango, popolare ballo argentino e Coco Chanel accorcia audacemente le gonne.

Nell'agosto del '14 muore il pontefice Pio X e gli succede Giacomo Della Chiesa col nome di Benedetto XV. Ed è proprio a Sua Santità Pio X che Francesco Portolesi indirizza la supplicante lettera per scioglierlo dai sacri voti:
È il 1 maggio 1914;

il sottoscritto umilmente prostrato ai piedi della santità vostra, espone quanto appresso:
Carente di qualsiasi vocazione, coartato ascendeva ai primi due ordini sacri e quindi al sacerdozio, che esercitò con decoro per circa 4 anni. In questo frattempo, lacerato da gravi rimorsi di coscienza, meticoloso fino al colmo, sentiva insopportabile il peso di una situazione, ch’egli non aveva mai cercato né sognato, situazione creatagli esclusivamente dai parenti, che minacciavano di abbandonarlo, qualora non l’avesse accettata nonostante la di lui recalcitrante, manifesta, pubblica opposizione. Il supplicante guardò, vide attraverso gli anni del di lui sacerdozio il cumulo degli scrupoli, intese l’enorme pressione e pensò di doversene liberare. Proseguendo negli studi, in breve riuscì ad ottenere la patente di maestro elementare e poi subito quella di segretario comunale, quando smetteva l’abito talare e passava allo stato laicale. Ora, da buon cattolico, rivolgesi alla Santità Vostra, supplicandola di scioglierlo dai voti e da tutti i doveri sacerdotali, che non può esercitare più oltre. Dichiarasi per altro pronto ad adire qualunque via giudiziale per dimostrare il difetto del di lui consenso  al momento dell’avvenuta ordinazione. Ciò sarà confermato dai seguenti testimoni. Aggiunge ancora che egli è stato per ben due volte espulso dal seminario diocesano, ed è stato per gli intrighi ed i forti mezzi dei suoi parenti se la Curia di Gerace sorvolando a tutte le mancanze, abbia ordinato a sacerdote il supplicante.
Fiducioso che la Santità Vostra accoglierà paternamente la presente supplica, devotamente Le bacia il Sacro Piè.
Di Vostra Santità Umilissimo servo
Francesco Portolesi
Platì (diocesi di Gerace) 1 maggio 1914
Elenco dei testimoni:
Arciprete Saverio Oliva
Arciprete Francesco Mittiga
Cav. Giosafatto Furore Sindaco
Monsignor Giosafatto Mittiga
Sac. Francesco Zappia
Prof. Nicola Spadaro
Sac. Francesco Pangallo
Prof. Rosario Fera
Sac. Ernesto Gliozzi
Mittiga Michele
Dottor. Giuseppe Fera
Sac. Francesco Marando

 
A far da scudo a ogni possibile obiezione, come potete leggere, vi è il fior fiore della Platì benestante e signorile. Il Portolesi, rispettato e ben stimato dall'intellighenzia del paese, giustamente gioca la sua carta vincente. La lettera del nostro protagonista mi ricorda la vicenda del poeta settecentesco Giuseppe Parini che abbraccia il sacerdozio poiché condizione sine qua non per ottenere la protezione e la copertura degli studi da parte di una ricca prozia. Qui la vicenda è un po' diversa ma da quanto racconta lo stesso Ciccillo, l'abito talare è un'imposizione familiare, sotto minaccia di abbandono.

Portolesi, in questa foto sfocata, il primo a destra


Il 25 settembre dello stesso anno si riuniscono nella Curia Vescovile di Gerace l’Illustrissimo reverendissimo mons. Canonico Decano d. Giuseppe Furfato e l’Ill.mo e rev.mo mons. Canonico arcidiacono d. Ettore Migliaccio, nominati rispettivamente, dal eccellentissimo vescovo, giudice istruttore e difensore dei SS. Ordini nella presente causa promossa ad istanza dal sacerdote Francesco Portolesi; e, riporta uno dei tanti documenti che caratterizzano il processo, invocato il Nome e l’aiuto del Signore con la orazione “actiones nostras”, ci siamo scambiati le nostre relative patenti di nomina, una al rogito del giuramento ieri da noi medesimi prestato quali si ritrovano elencati qui appresso sotto il titolo di documenti, dal n.1 al 4.
Istanza presentata a sua santità il Papa Pio X dal sacerdote francesco Portolesi il 1 maggio del 1914. Viene letta la seguente istanza. Si discute e si delibera di comune accordo:
fare luce se risulta che il sacerdote Francesco Portolesi sia stato coartato a ricevere il suddiaconato, diaconato e presbiterato e se risulti soprattutto che egli non abbia avuto la debita intenzione, sia pure implicita, nel ricevere i suddetti ordini.
Citare in primo luogo il Portolesi e in seguito i testimoni da lui addotti o adducenti e tutti quegli necessari nel corso dell’istruttoria sia per parte del giudice delegato come per parte del difensore degli ordini.
Firma can. Arcipr. Francesco Fazzari
 
Il 17 ottobre si riuniscono nuovamente e si legge il documento con il quale il Portolesi chiede di farsi rappresentare a voce e per iscritto da un procuratore in persona cioè il canonico, teologo d. Vincenzo Raschellà. Il difensore degli ordini fa osservare che la lista dei testimoni del Portolesi si compone quasi tutta di persone residenti a Platì e che data la distanza di quasi mezza giornata di viaggio, le strade disuguali, i fiumi da guadare e l’incostanza della stagione, cause tutte che farebbero andare per le lunghe il giudizio, propone che il tribunale si stabilisca a Platì. Il r.mo giudice delegato ponderando ancora che fra i testimoni vi sono delle giovani e delle donne attempate, le quali assolutamente non potrebbero esporsi ai disagi di un sì lungo viaggio in questa stagione, trova giusta la proposta del difensore degli ordini e ci si trasferisce tutti a Platì.

Alla fine del 1914 il sacerdote Francesco Portolesi si sveste per indossare definitivamente gli abiti del laico, maestro e segretario comunale e qualche anno dopo convogliare a nozze, come già raccontato.


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