Sono diversi gli intellettuali della Platì di un tempo e fra questi ho avuto modo di scovare nel corso delle mie ricerche il nome di Eberto Vincenzo Zappia.
È l'unico platiese citato dal fu Pasquino Crupi in Il genio dei Calabresi, atlante culturale della Calabria, (Città del Sole edizioni - 2007). Non Ciccillo Portolesi, non il dott. Papalia, non il sacerdote Ernesto Gliozzi senior ma Erberto Zappia. Eberto Zappia si è conquistato un posto nella sterminata bibliografia degli studi danteschi. La sua produzione ha una eco nazionale e propriamente accademica. Tra le sue opere: Sulla Vita Nuova di Dante (Roma 1904), Di una vecchia questione di fonetica italiana (Ivi 1920), Il problema fondamentale della Vita Nuova e l'estetica della intuizione pura (Napoli 1921).
Nasce a Platì l8 gennaio 1861 dal farmacista don Marcello e donna Antonietta Lenzi, gemello di Giuseppe. Padrino di battessimo don Filippo Zappia. Marcello era figlio del medico Domenico e di Rachele Brancatisano. Domenico era figlio di Rosario e Rosa Lenzi di Varapodio, ritorna il cognome Lenzi e con questa generazione siamo giunti al 1800 dalla ricostruzione fatta con Rosalba Perri, con cui spesso mi confronto, soprattutto per quanto riguarda la Platì del 1800 viste le sue ricerche degli ultimi anni.
Della pretesa origine classica del villaggio Resina. In: Studi italiani di filologia classica 3 (1895) p. 133-163.
È incaricato dell'insegnamento di una delle classi inferiori del ginnasio di Gallipoli con la retribuzione di L. 130 mensili, sino al 30 settembre 1895. Poi a Napoli, insegnante di letteratura nella Scuola Normale e Complementare Femminile "Pimentel Fonseca". Nel 1914 è ordinario di Lingue e Lettere Italiane di classi superiori al liceo Antonio Genovesi (Annuario del Ministero della pubblica istruzione Di Italia : Ministero della pubblica istruzione · 1914), poi nel Regio istituto Magistrale Margherita di Savoia sempre a Napoli.
Nel 1920 nel Bollettino delle pubblicazioni italiane ricevute per diritto di stampa è menzionato per la pubblicazione Di una vecchia questione di fonetica italiana: divagazioni ortografiche. Milano-Roma-Napoli, soc. ed. Dante Alighieri, di Albrighi, Segati e C. (Napoli, N. Jovene e C), 1920. p.33. L.3.
Citato da Teodoro Rovito nel 1922 nella sua Letterati e giornalisti italiani contemporanei dizionario bio-bibliografico - nato nel 1861 a Plati, risiede a Napoli. Gli dobbiamo: Della pretesa origine classica di Resina, monografia inserita nel volume terzo degli Studi italiani di filologia classica del Vitelli; Studi sulla Vila nuova di Dante ; La questione di Beatrice, ecc. -
Nel Giornale storico della letteratura italiana, diretto e redatto da Francesco Novati e Rodolfo Renier, n. LXIII del 1914, l'autore nel trattare la recensione della pubblicazione intitolata DANTE ALIGHIERI. — Vita Nuova, con proemio, note e appendice di G. A. Cesareo. — Messina, G. Principato, 1914, racconta: Dopo le ampie e buone edizioni commentate del Melodia (1905), del Flamini (1910), dello Scherillo (1911), viene questa, simpatica davvero anche nell'assetto tipografico, del Cesareo. Ed essa è, per chi scrive queste righe, una consolazione. Il perché eccolo. L'interpretazione empirica, gretta e semplicista che faceva della Vita Nuova la ingenua narrazione degli amori giovanili del poeta per Beatrice di Folco Portinari aveva ormai trovato tanta fortuna, che non si osava quasi più discordarne. Ciò che è facile piace; ma non sempre ciò che è facile è vero. Io che di quella interpretazione facile non riuscii a convincermi mai, anzi provavo per essa una ostinata e invincibile avversione, continuai a spiare con desiderio qualunque traccia di ribellione e mi compiacqui di darne annuncio in queste pagine. Feci festa al libro di Carlo Grasso, uscito nel 1903 (cfi-. Giorn., 43,401); salutai con piacere quello di Vincenzo Zappia del 1904 (La questione di Beatrice), sebbene mi andasse solo a mezzo; più mi rallegrai allorché uno dei dantologi odierni di cui ho maggiore stima, Michele Barbi, ebbe a fare non poche restrizioni rispetto all'amore di Dante per Beatrice. [...]
In La letteratura calabrese del 1996, Antonio Piromalli scrive: Studi letterari, regionali, dialettali caratterizzano l'età del metodo storico. Oltre il De Chiara si occuparono di Dante, Raffaele Valenzise, Giuseppe Barone, EbertoVincenzo Zappia, Nicola Arnone...
Studi sulla Vita Nuova di Dante (1904) del nostro autore è presa in esame in diversi contesti. In Corriere meridionale (1904: A. 15, ago., 11, fasc. 31) il prof. Luigi Bianchi esprime un chiaro giudizio sullo Zappia: "Debbo alla cortesia del dott. Francesco Coluccia, medico e letterato umanista, la fortuna della lettura di un recentissimo volume di studi critici sulla Vita Nuova di Dante. Ne è autore un modesto insegnante di lettere, ricco di coltura e d'ingegno, Vincenzo Zappia, che in questo suo poderoso lavoro si è rivelato critico non comune, acuto, spregiudicato e perciò sincero.
Di recente sono venuto a conoscenza che Zappia è stato citato in un lavoro del prof. Domenico Chiodo dell’Università degli Studi di Torino e pubblicato su Lo Stracciafoglio (2016). Il prof. Chiodo nella sua dissertazione trascrive capitolo 9 (pp. 74-81) della prima parte, L’episodio della donna gentile, del volume di Vincenzo Zappia, Della questione di Beatrice , dichiarando che: "[…] dal momento che da allora a oggi non sono stati fatti grandi progressi in materia, le pagine dello Zappia possono senz’altro valere come efficace compendio della questione […]" e ancora "[…] dell’annosa questione della “finestra” alla quale si affaccia “pietosamente” la “donna gentile” di Vita Nuova XXXV, che per coloro che intendono ostinatamente negare il carattere allegorico del personaggio sarebbe particolare a tal punto realistico da costituire la dimostrazione inoppugnabile che tale donna pietosa non è, al contrario di quanto Dante vorrebbe far credere, la medesima “donna gentile” di cui nel Convivio (II XV 12) è svelata la natura allegorica, dico e affermo che la donna di cu’ io innamorai appresso lo primo amore fu la bellissima e onestissima figlia de lo imperadore de lo universo, a la quale Pitagora pose nome Filosofia […] mi pare che lo Zappia argutamente smonti l’argomento degli anti-allegoristi che vogliono vedere nella finestra un particolare realistico che di per sé dimostrerebbe l’inattendibilità dello svelamento operato nel Convivio […]"
Ho riportato solo dei ritagli del poderosa relazione trascritta dal prof. Chiodo che contatto qualche giorno fa mi rispondeva: ma non so nulla dello Zappia, al di là del fatto che è stato fatto bersaglio, a torto, degli strali di Barbi; e meno che mai so di sue fotografie.
Eberto Vincenzo Zappia muore a Napoli l'8 dicembre 1928, ma oggi rivive in queste pagine.
Per una lettura più dettagliata e approfondita si rimanda alla piattaforma Academia
Chiunque voglia visionare la pubblicazione del prof. V. Zappia mi contatti pure su francesco.violi@gmail.com
Francesco - stai mantenendo viva la storia e questo è un talento che hai e un dono per gli altri. Bravissimo.
RispondiEliminagrazie mille :)
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