don Ciccio Oliva, u gnuri |
Questo articolo rappresenta solo un’anteprima, un accenno iniziale, di un lavoro molto più ampio e dettagliato, un volume che esplorerà in profondità la storia della famiglia Oliva, non solo attraverso i documenti e le vicende tramandate, ma anche attraverso un’analisi attenta delle radici culturali, sociali e storiche che hanno contribuito a fare di questa famiglia una delle più influenti della Calabria. Ogni capitolo sarà un viaggio tra archivi, testimonianze e leggende, per offrire un racconto completo e avvincente, che renda giustizia alla ricchezza di questa storia.
La famiglia Oliva, radicata profondamente in Calabria, è una delle più illustri casate della regione, intrecciando la propria storia con quella dei personaggi e degli eventi più influenti del contesto storico locale. L'origine della famiglia è avvolta in un alone di mistero e leggenda. Si narra infatti che un antenato fosse giunto in Calabria al seguito di Alfonso d'Aragona, ricevendo terre come ricompensa per il suo servizio. Questo dono segnò l'inizio di una nuova era per la famiglia, destinata a prosperare e a legarsi sempre più profondamente al territorio calabrese.
Secondo le cronache, il fondatore della casata, un nobile barone, dovette successivamente fuggire da Reggio Calabria a causa di un delitto di sangue, trovando rifugio nelle località di Natile, Monasterace e Platì. Fu in questi luoghi che si formarono i primi nuclei della famiglia Oliva, destinata a diventare una delle casate più potenti e influenti della Calabria meridionale. Con il passare del tempo, la famiglia Oliva intrecciò la propria storia con quella delle altre grandi famiglie calabresi, consolidando un patrimonio che non si limitava solo alla ricchezza terriera, ma che si estendeva a un forte prestigio sociale e politico, diventando un simbolo di potere e radicamento nella regione.
L’alleanza con la famiglia Perri
Quando gli Oliva si stabilirono a Platì, unirono il proprio destino a quello della famiglia Perri, l'altra casata più influente del luogo durante il Seicento. Attraverso un’alleanza matrimoniale, i due casati rafforzarono ulteriormente le proprie posizioni. Dall’atto di matrimonio del 1728 di Beatrice Oliva con Francesco Romeo di Messignadi, si legge che fra i diversi appezzamenti ricevuti in dote vi erano quelli del padre Pietro e del nonno Martino Oliva, e alcuni dall’eredità di Martino Perri, probabilmente nonno materno. Pietro e Martino, sono nomi che rimandano alle radici profonde e al rispetto delle tradizioni della casata poiché ricorreranno nelle generazioni successive.
Espansione e consolidamento nel Settecento
Nel corso del Settecento, la famiglia Oliva consolidò il proprio ruolo nella società locale, acquisendo titoli e onori che contribuirono ad accrescere il loro prestigio. Tra i membri di spicco, Francesco Anselmo Oliva e suo fratello Giuseppe, vice-tesoriere di Crotone, acquistarono il feudo Tomacelli grazie all’investimento del loro padre, Domenico Oliva, rafforzando così ulteriormente il potere della famiglia. Questa acquisizione segnò un momento cruciale per la casata, che ne uscì rafforzata, sia dal punto di vista economico che sociale, e trionfante in diverse dispute legali.
La baronia di Felline e l’espansione in Puglia
Nel 1777, un altro illustre membro, don Domenico Oliva del casale di Natile, ottenne il titolo di barone di Felline, espandendo l’influenza familiare oltre i confini calabresi e consolidando legami con nobili casate pugliesi. Questo possedimento rappresentava un elemento importante nella strategia di espansione della famiglia, mirata a rafforzare il proprio potere anche nelle altre regioni del Regno di Napoli.
L’influenza ecclesiastica
Tolentino Oliva, ricordato come il primo parroco di Platì, contribuì a consolidare ulteriormente l'influenza della famiglia anche nel settore religioso. Stefano Oliva, arcidiacono e figura di grande rilievo ecclesiastico, si distinse per la sua cultura e dedizione religiosa. Questa presenza in ambito ecclesiastico rafforzava la posizione degli Oliva non solo spiritualmente, ma anche politicamente, radicandola profondamente nella comunità.
Don Arcangelo Oliva: decurione e proprietario terriero
Don Arcangelo Oliva rappresenta una delle figure più influenti della storia di Platì. Oltre a ricoprire il ruolo di decurione, Arcangelo fu un leader politico di grande rilievo e un grosso proprietario terriero, con un controllo esteso su vaste proprietà nella regione. La sua gestione delle terre andava oltre la semplice amministrazione, dimostrando una visione lungimirante per lo sviluppo agricolo e commerciale. In un periodo segnato da forti tensioni sociali, Arcangelo incentivò la coltivazione di vigneti e uliveti, promuovendo l’espansione delle colture locali e il commercio agricolo. Tale strategia non solo contribuiva alla crescita economica della famiglia, ma consolidava il loro potere attraverso una rete di relazioni commerciali e sociali. Arcangelo suddivise parte delle sue proprietà tra i figli, Michele e Stefano, assegnando loro terreni preziosi attorno a Natile Vecchio e al Molino Nuovo. Questo passaggio di beni non era solo una questione di eredità, ma un mezzo per rafforzare la presenza e l’influenza della famiglia Oliva nella regione, assicurando la continuità della loro posizione di rilievo. I documenti storici dell’epoca descrivono Arcangelo come un punto di riferimento nell’amministrazione pubblica di Platì, dove la sua autorità era ampiamente rispettata. Era impegnato nella risoluzione di questioni civiche e nella gestione di dispute, elevandosi a figura di stabilità e controllo nella comunità locale. La sua influenza politica e sociale contribuì a garantire una gestione strutturata delle risorse e a mantenere l’ordine in un contesto spesso caratterizzato da instabilità. Attraverso il suo operato, Arcangelo Oliva non solo consolidò il prestigio della famiglia, ma anche il benessere di Platì, rendendo la casata Oliva un pilastro della vita sociale ed economica della Locride.
Don Ciccio Oliva: il "signore assoluto" di Platì
Don Ciccio Oliva, conosciuto anche come "u gnuri," incarnava la figura del patriarca autoritario e rispettato. Erede di Arcangelo dopo la morte del fratello Domenico, la sua proprietà si estendeva da Platì fino alle coste ioniche e tirreniche, facendo di lui uno dei più grandi possidenti della Calabria meridionale. Oltre a gestire le terre, don Ciccio era noto per il suo sistema di compensazione dei lavoratori locali: invece di pagare in denaro, permetteva loro di prendere parte al raccolto, stabilendo una forma di economia basata sulla sussistenza e sulla dipendenza reciproca. Questo sistema, economicamente vantaggioso per don Ciccio, contribuiva a radicare la sua influenza sulla comunità, che lo vedeva come un custode dell’ordine e della giustizia locale. Si narra che don Ciccio fosse temuto e venerato in egual misura, poiché la sua figura rappresentava una sorta di equilibrio tra benevolenza e severità nella gestione della comunità.
Espansione su Natile e declino del patrimonio
Nel corso del tempo, la famiglia Oliva estese la sua influenza anche sul territorio di Natile, che fu annesso al Comune di Platì per Decreto di Ferdinando II il 13 marzo 1831, per poi essere trasferito al Comune di Careri nel 1836. Tuttavia, questo dominio era documentato ben prima del decreto, poiché già tra la fine del XVII e l'inizio del XIX secolo, Domenico Oliva suddivise le sue proprietà tra i figli avuti da Saveria Rechichi. A Michele andarono le terre di Natile Vecchio, mentre ad Arcangelo furono assegnati i terreni circostanti il Molino Nuovo. Gli eredi mantennero il controllo di queste terre per generazioni, passando attraverso Michele Vincenzo Oliva, avvocato e proprietario di vasti appezzamenti, che nel 1885 sposò Elisabetta Furore, garantendo così la continuità patrimoniale alle proprie figlie.
Nonostante il prestigio della famiglia, l’Ottocento portò anche periodi di declino. Dopo la morte di Francesco Oliva, il giovane conte Filippo, nipote ed erede di Arcangelo e figlio della contessina Luisa Ricciardi che si era unita in matrimonio con Filippo Oliva senior nel 1865 a Napoli, si ritrovò a ereditare un vasto patrimonio. Tuttavia, nonostante l’educazione aristocratica ricevuta a Napoli, Filippo, inesperto negli affari, dovette affrontare una serie di difficoltà che portarono alla dispersione di gran parte della sua fortuna. Coinvolto in intricate vicende legali e gestionali, perse diversi beni. Fonti storiche indicano che, attraverso processi e transazioni legali, alcuni terreni della famiglia, inclusi quelli del circondario di Natile, passarono nelle mani di altri proprietari, tra cui Rosario Zappia, segnando una significativa riduzione del controllo territoriale originario della famiglia Oliva.
Questo periodo di crisi evidenzia le complessità e le sfide che la famiglia Oliva dovette affrontare in un contesto sociale ed economico mutevole, segnando una fase di declino per una delle più potenti dinastie della Calabria meridionale.
Conclusione
Questa eredità di potere e tradizione vive nei documenti, negli atti e nelle storie tramandate, confermando il ruolo centrale della famiglia Oliva nella memoria collettiva della Locride e oltre. Sebbene l’influenza diretta si sia ridotta nel tempo, il ricordo della loro autorità e delle loro gesta rimane saldo, simboleggiando una dinastia che ha segnato profondamente la storia calabrese.
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