Giuseppe Mittiga, un medico poliedrico, nel ricordo della figlia Elisa


Quando da studente viveva a Napoli, a volte in compagnia del fratello Michele, capitava di ridurre le spese dei viveri in modo da avere abbastanza soldi per andare a teatro. Aveva una grande passione per la lirica e l'ha mantenuta per tutta la vita. Suo docente il famoso dottor. Cardarelli, medico, patologo e politico italiano, senatore del Regno d'Italia. In paese, nella Platì del '900, finite le visite mediche, iniziava a suonare il suo mandolino che risvegliava il rione e tutti sapevamo che il medico si apprestava a chiudere lo studio. Era così Giuseppino Mittiga, il medico di Platì, poliedrico e acculturato, amante della bella musica e dei grandi classici latini e greci. Ma non tutti sanno che una sua grande passione era la fotografia di cui è stato il precursore nella Platì del passato. Quel marchingegno, magico e suggestivo agli occhi dei contadini e dei pastori, l'aveva portato da Napoli e centinaia furono gli scatti e gli sviluppi, alcuni ormai dispersi. Era straordinario e io, mi racconta la figlia Elisa, ho potuto seguirlo in tutta la sua professioneAll'epoca non c'era né guardia medica, né ospedali e c'era solo il medico condotto.

Elisa Mittiga

L'avventura del giovane Giuseppe Mittiga inizia quando a nove anni viene messo su un treno, con una sola valigia, diretto a Napoli in cui arriva dopo due giorni di viaggio e dove incontra uno zio, Saverio Mittiga, sacerdote e docente presso la facoltà di teologia all’Università, autore di racconti e poesie. Le scuole medie sono state frequentate nella città partenopea per poi trasferirsi per il ginnasio nel seminario di Gerace, dove conosce il futuro colonnello Lanzetta e con cui manterrà per sempre un'amicizia fraterna. Ritorna a Napoli per gli studi universitari. Oltre Caldarelli, il docente di ginecologia è il professor Bianchi che propone al giovane Mittiga di trasferirsi in America, viste le sue capacità. Mittiga resta in Italia e al quarto anno di università, allo scoppio della Grande Guerra, viene inviato in un campo medico in Francia dove tocca letteralmente con mano quanto leggeva sui libri e si forma in quella dura realtà. Il professore Bianchi insiste ancora con la proposta americana ma Giuseppe ritorna dalla sua mamma a Platì.  Il "vecchio" medico Mittiga, al battesimo Giuseppe Epifanio, nasce il 3 gennaio 1897, da Rocco e Caterina Fera, madre con cui aveva un profondo legame.

Elisa tira fuori alcuni vecchi attrezzi del padre ormai obsoleti ma per lei hanno un grande valore: lui faceva il dentista, l'oculista, il chirurgo, l'ortopedico, il ginecologo affrontando parti cesarei e podalici.


Durante la Seconda Guerra Mondiale, per non far bombardare quello che era l'ambulatorio del paese, il dottor Mittiga fa disegnare una grande croce sul terrazzo: io ero piccolissima ma ricordo che per sei mesi siamo rimasti nascosti in una grotta, cioè dietro la Rocca del paese insieme a tanti altri compaesani, mentre mio padre era rimasto in ambulatorio.

il dott. Mittiga davanti l'ingresso della propria abitazione, con tre dei quattro figli


i quattro figli Mittiga

Un altro momento determinante che ricorda la signora Elisa è quello dell'alluvione del '51: avevo otto anni, mio padre 64, diverse famiglie si erano rifugiate a casa nostra; il paese era sommerso dal fango dopo tutti quei giorni di pioggia, la gente era arrivata di notte con quel poco di masserizie che era riuscita a raccattare. La casa era grande e in ogni stanza c'erano due, tre famiglie.

il dott. Mittiga in fondo (con gli occhiali)

Elisa, che mi ha concesso di darle del tu, conserva ancora la sua bellezza e la signorilità che l'ha sempre contraddistinta. Elegante e accogliente. Interrompe il racconto e sospira: io sono legata al mio paese perché mi sono riempita sempre gli occhi di bellezza. Vedevo l'Aspromonte con Pietra Cappa appena mi svegliavo, vedevo le colline che guardavano verso il monte Calvario, piene di grano o di papaveri o di "suja" che spuntava alle prime piogge autunnali. Mi regala questo simpatico detto che ricorda:  "a quandu a quandu si misi mu strai, duru mu ci cadi lu ciliu" (per una volta che si è messo a lavorare gli è capitato duro il telaio e non può fare niente). Sono state migliaia le famiglie che sono emigrate verso l'Australia o l'America. La prassi prevedeva, prima dell'approvazione del sindaco e di una seconda visita medica a Napoli (da dove ci si imbarcava), il giudizio del medico di base. Una volta una famiglia, prossima alla partenza, a fine visita diede in dono al medico Mittiga una treccia di capelli biondi. Era un dono prezioso, quasi un sacrificio per le donne che prima di partire le tagliavano. Anni dopo la signora Mittiga diede quella treccia a una ricamatrice del paese che stava lavorando a una delle tovaglie per l'altare.

al centro Caterina Fera

Il dottor Mittiga arrivava sovente allo studio sin dalle 4 del mattino per le prime terapie antibiotiche iniettive poiché subito dopo, l'alba richiamava i contadini ai campi e, concluse le cure, iniziava il giro per le case per far visita ai vari ammalati. Un aneddoto che lo riguarda è quello di un tale di Platì (Lorenzo Carbone) rinchiuso nella casa di cura che ospitava il brigante Peppe Musolino: il Mittiga, dopo averlo visitato, aveva fatto da garante affinché uscisse, riuscendo ad ottenere la libertà per il platioto Lorenzo. Non solo, ricorda Elisa, questo gentile signor Carbone accompagnava noi figli a scuola. 

Sono tanti i ricordi: durante l’alluvione una signora, incinta, era rimasta bloccata con tutte e due le gambe spezzate e affidata poi alle cure del nostro dottore che non solo la fece guarire totalmente ma garantì la nascita del bambino. Suggestiva è la storia di un tredicenne, sordomuto, che durante la nefasta alluvione si era ritrovato con la calotta cranica aperta ma penzolante, attaccata vicino a un orecchio, mio padre l’ha ricucita completamente e non si vedeva nemmeno un punto. Casa mia sembrava un lazzaretto in quei giorni. Costruivano barelle di fortuna e i malati stazionavano in casa attendendo il loro turno. Mia madre, Antonietta Zappia figlia di don Rosario, ormai non aveva più controllo di casa sua, racconta con un sorriso Elisa. Giuseppe e Antonietta si erano sposati nel giugno del 1938.


- Se oggi ti dovessero chiedere chi era il vecchio medico Mittiga, cosa risponderesti? mio padre faceva bricolage, ascoltava lirica, suonava il mandolino, giocava a scacchi, era un uomo curioso e ha svolto la sua professione fino a 75 anni e a 82, quando si era ormai trasferito qui a Palmi, aveva acquistato un’enciclopedia medica perché voleva aggiornarsi. 


Il Mittiga inoltre si può definire il primo fotografo di Platì e la sua curiosità, la sua "visione", gli imponeva di immortalare le istantanee e non le pose, gli piaceva fotografare la gente così com’era, nella quotidianità. Elisa mi mette fra le mani una vecchissima foto: la trovo bellissime ed unica, è del 1930 e leggo la scritta “festa dell’uva”, scoprendo che un tempo a Platì vi si svolgesse anche questa tradizione. Ogni anno c’era la festa dell’uva e in una manifestazione era stata la madre di Elisa a salire sul carretto addobbato per l’occasione, vestita da contadinella in abiti tradizionali. Lei ricorda una Platì ricca di artigiani come quelli che lavoravano la radica, un paese di gente umile ma non servile. Vi erano circoli culturali frequentati dallo stesso Mittiga insieme ad altri esponenti delle famiglie Fera, Perone, Spadaro, Gliozzi. Un paese gemellato a Cantù per il ricamo, un paese di calzolai dove si usava la pelle di capretto visti i molti pastori. Un altro paese.

il dottor. Giuseppe Mittiga muore a Palmi il 18 gen 1982.

Saluto la signora Elisa, lei mi ferma: quella foto dell'uva, Francesco, che ti piace tanto, adesso è tua.









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