Saverio Mittiga, sacerdote e docente



Saverio Mittiga, sacerdote e letterato calabrese, è una delle tante figura di rilievo nella storia culturale e religiosa della Calabria del XIX secolo e in particolare nel nostro paese. Nato il 14 gennaio 1837, come attestato dal suo atto di nascita, visse un’esistenza dedicata alla fede, all’istruzione e alla letteratura. La sua morte avvenne il 27 febbraio 1914, lasciando un segno profondo nella storia locale.


Sacerdote e docente

La lapide commemorativa di Saverio Mittiga lo definisce "Sac. Prof.", un titolo che riassume il suo impegno sia come uomo di fede che come educatore. Ordinato sacerdote, Mittiga seppe unire al suo ministero pastorale una grande passione per l'insegnamento. Era noto per il suo rigore intellettuale e per la capacità di comunicare valori morali e spirituali attraverso la parola scritta e parlata, poiché docente presso la facoltà di teologia a Napoli.

Le opere letterarie

Tra le sue opere più significative spicca Il Tesoro dei Carcerati, un testo che è stato già oggetto di analisi e riflessione su queste pagine. Questo lavoro riprende un’antica leggenda di Platì, narrando di un nascondiglio segreto in cui misteriosi briganti - mai identificati con precisione - avrebbero celato beni preziosi. Questo breve frammento di memoria popolare unisce fatti verosimili e suggestioni orali, incastonandosi nel paesaggio aspromontano fatto di fiumare e sentieri impervi. Lo stile impiega spesso espressioni evocative, ponendo l’accento sui dettagli più intriganti del racconto (dove sarebbe nascosto il tesoro, in che epoca, quali fossero le condizioni di chi lo seppellì…). Allo stesso tempo, emerge la volontà di mantenere un filo diretto con la “realtà dei luoghi”: si citano fiumare, antiche mulattiere e spazi impervi, quasi a dimostrare che le leggende non restano confinate nel puro immaginario, ma sono ancorate a coordinate geografiche tangibili. In definitiva, “Il tesoro dei carcerati” si inserisce nella scia di quelle “storie-non storie” tipiche dell’Aspromonte, capaci di trasformare un sospetto, un’eco lontana, in un racconto denso di meraviglia.

Un'altra opera degna di nota è La Casa dello Speziale, una novella calabrese pubblicata nel 1879 dall’editore V. Morano di Napoli. La storia è ambientata in un paese della Sila calabrese, luogo selvaggio e suggestivo, descritto con toni che ne esaltano i contrasti naturali (foreste, vallate, mulattiere). Protagonista è un farmacista (“lo speziale”) ormai sessantenne, uomo austero e avaro, che vive con i suoi tre figli: Luigi, di circa ventun anni, Carmela, ventenne, e Teresa, di due anni più giovane. Il farmacista, rispettato ma temuto, si prende cura dei bisognosi per non essere tacciato di grettezza e ha impartito un’istruzione adeguata ai figli, sperando che soprattutto le figlie non cadano nelle lusinghe di matrimoni sgraditi.

Nello stesso paese vive un giovane di nome Giovanni, nipote di un prete, che in gioventù aveva tentato la via del sacerdozio senza successo. In seguito, si dedica alla lettura di romanzi e infine diventa calzolaio, mestiere che apprende in modo stentato. Giovanni incrocia il destino della famiglia del farmacista perché spesso è chiamato a confezionare o misurare le scarpe per le due ragazze. Durante questi incontri, egli si innamora di Teresa e inizia a corteggiarla. La relazione viene però bruscamente osteggiata sia dal farmacista, che considera il calzolaio inadatto, sia da Luigi, il fratello di Teresa, il quale mostra disprezzo per Giovanni. La tensione sfocia in un episodio violento: Giovanni viene insultato e allontanato; in preda all’ira, si rifugia nella Sila e si dà alla macchia, diventando un brigante. Teresa, isolata dal padre, sprofonda nella disperazione, a cui contribuisce anche la sorella Carmela, mossa da invidie e ambiguità. Gli eventi precipitano in un dramma familiare: si susseguono minacce e sospetti, fino a un atto delittuoso che provoca la morte di Luigi e il crollo dell’onore domestico. Carmela, tormentata dal rimorso, muore poco dopo; Teresa fugge, e il farmacista, ormai solo e roso dal senso di colpa, finisce per chiudersi nella solitudine più cupa. La casa dai muri neri e cadenti, già impregnata di rancori e tormenti, rimane disabitata e viene evitata dagli abitanti, che la reputano un luogo sinistro. Da allora viene indicata come “Casa dello speziale”, testimonianza di quella tragedia privata. 

Nelle battute finali, la novella assume toni quasi maledetti, sottolineando come l’ostinazione paterna, le passioni inconfessabili e la vendetta abbiano rovinato un’intera famiglia. Curiosamente, l’autore, Saverio Mittica, era davvero figlio di un calzolaio, e il nome Luigi ricorre anche all’interno della sua famiglia: circostanze che suggeriscono possibili richiami a episodi personali, oppure una trasposizione romanzata di vicende vissute o raccontate in ambito domestico. Questa sfumatura dà alla narrazione un’ulteriore profondità, lasciando intendere come la realtà quotidiana potesse confondersi con la finzione letteraria.

Mittiga è una figura rappresentativa di una Platì che, pur segnata da difficoltà economiche e sociali, custodisce un patrimonio culturale e spirituale di inestimabile valore. Attraverso le sue opere, emerge non solo l’amore per la sua terra, ma anche un desiderio di riscatto culturale. La sua figura si inserisce in quel filone di intellettuali del Sud Italia che, attraverso la loro opera, hanno cercato di preservare e valorizzare le tradizioni popolari e la memoria storica delle loro comunità. La sua eredità risiede non solo nei suoi scritti, ma anche nel ricordo di un uomo che ha dedicato la sua vita al servizio degli altri, lasciando un'impronta importante nella storia di Platì e della Calabria.


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