Joseph Callipari e la sua band: un talento oltreoceano



Giuseppe Calipari – o, come verrà chiamato oltreoceano, Joseph – è uno di quei personaggi in cui l’estro creativo platiese ha saputo fiorire in terra straniera. Era il 19 gennaio 1905 quando vide la luce, figlio di Pietro fu Francesco, vaccaro, e di Rosa Cutrì, contadina, in una Platì dove il vento sussurravano storie antiche e le pietre raccontano ancora di restanza e partenza. Secondo i registri del comune, quel giorno faceva un freddo pungente,  che il padre, dispensato dal sindaco Michelino Oliva fu don Stefano, non dovette presentare il neonato di persona per la registrazione. Basta immaginare la scena: un vento gelido che sferza i vicoli di Platì, i bracieri e le stufe a legna accese in ogni casa, e Pietro intento a segnare una X sul registro. I genitori decisero, come tanti, di varcare l’oceano in cerca di opportunità, portando con sé in valigia il bagaglio culturale dell’Aspromonte: canti contadini, ballate pastorali, profumi di fichi e di ulivi.

Giunti a Massena, nello stato di New York, i Callipari trovarono la loro strada con determinazione. Joseph aveva un fratello, Frank, e quattro sorelle: Betty, Kay, Rose e Marion, che in seguito si stabilirono a Niagara Falls. Cresciuto nell’armonia spontanea tipica dei villaggi calabresi, Joseph iniziò a inseguire il suo sogno musicale. La sua formazione fu in gran parte frutto della passione e di un apprendistato “sul campo”, probabilmente tra piccoli gruppi di migranti italiani, arricchito dalle influenze jazz e swing che animavano l’America di inizio Novecento. Lavorando senza sosta, tra ingaggi modesti e serate danzanti, Joseph passò a dirigere diverse formazioni: dai Musical Rascals ai Kings of Rhythm, fino a fondare la Joe Calipari Orchestra, un nome che presto sarebbe diventato sinonimo di ritmo travolgente e divertimento assicurato nel nord dello Stato di New York. Nel 1942, un reportage da Canton raccontò di un combo di cinque elementi della Joe Calipari Band in arrivo all’Hotel Nadeau di Massena, pronti a trasformare le serate in momenti di pura energia jazz-swing. Nel 1938, Joseph sposò Hazel Sharlow, dalla quale ebbe quattro figli: Joseph Jr., James, Barbara e Marilyn. Si dedicò alla carriera di direttore d’orchestra per ben 37 anni, diventando un riferimento costante per eventi di beneficenza e feste da ballo. Tra i più celebri, il Charity Ball di Tupper Lake nel 1961 e il Subscription Dance del 1967 al Gran-View, dove la sua musica fece vibrare i cuori e raccolse fondi per ospedali e associazioni. Fu nel 1945 che Joseph gettò le basi per la sua eredità più duratura, fondando il Calipari Music Store a Potsdam, al numero 13 di Market Street. Lì non si vendevano solo strumenti o spartiti: era un luogo in cui chiunque entrasse si sentiva parte di una grande famiglia musicale, un punto di ritrovo ideale per musicisti e appassionati, sempre pronti a scambiarsi idee, progetti e sogni. In seguito, suo figlio Joseph Jr. ne avrebbe preso le redini, assicurando continuità e mantenendo vivo lo spirito del fondatore. 



Nel 1971, Joseph e Hazel si trasferirono a St. Petersburg, in Florida, dove lui trascorse gli ultimi anni di una vita spesa all’insegna delle note e della creatività. Si spense il 12 dicembre 1977, lasciando dietro di sé un mondo di ricordi e di emozioni condivise. Eppure, la sua storia non si concluse con l’ultimo respiro. Gli applausi, i sorrisi e le note, rimasti impressi nella memoria collettiva, continuarono a riecheggiare nelle riviste musicali dell’epoca, che lodarono il suo spirito pionieristico e il suo stile capace di fondere le radici italiane con il fervore delle big band americane. 

Platì rimase impresso nella sua memoria come un piccolo scrigno di storie, profumi e sapori, una fonte di ispirazione inesauribile, la scintilla che diede fuoco alla polvere creativa. E mentre nelle sere di festa in Calabria si ascoltavano ancora le vecchie ballate tradizionali, Joseph, dall’altra parte dell’oceano, incantava con la sua arte chiunque fosse disposto ad ascoltare. Perché il suo più grande dono fu proprio questo: saper trasformare le radici contadine in un’eco universale, capace di parlare a chiunque lo incontrasse sul suo cammino.






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