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Michele Fera con la moglie Concetta Ieraci e altri familiari
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La storia della famiglia Fera di Platì è un racconto di tradizioni, resilienza e figure straordinarie che hanno contribuito a plasmare l’identità storica e culturale del paese. I registri parrocchiali offrono uno sguardo prezioso sul passato, tracciando le origini della famiglia attraverso nomi e date che raccontano vite intrecciate con quelle della comunità. Tra i documenti più antichi troviamo Bruno Fera, figlio di Francesco, che muore prematuramente nel 1744 all’età di 10 anni, e Antonio, nato nel 1773 da Michele Fera ed Elisabetta Zappia. Nel 1764 viene registrata la nascita di Caterina, figlia di Giuseppe di Domenico e Domenica Cusenza, mentre nel 1749 si annota la scomparsa di mastro Francesco Fera di Leone, all’età di 50 anni. Nel 1772, si registra la nascita di Maria, figlia di Michele, figlio di Giuseppe e Domenica Purtulisi, e di Elisabetta Zappia.
Tuttavia, è da Giovanni Fera che la narrazione prende forma, dando origine alla linea che segnerà la storia di questa famiglia. Attraverso le generazioni, i Fera hanno intrecciato le loro vicende con quelle di Platì, contribuendo con le loro vite e i loro talenti al patrimonio storico e culturale di una terra ricca di tradizioni.
Giovanni Fera, il taglialegna di Santa Cristina
La storia della famiglia inizia con Giovanni Fera, noto mastro falegname e taglialegna. Compare nel catasto del 1746 come un uomo di radici robuste e mani callose, nato a Santa Cristina ma ormai stabilito da diversi anni a Platì. La sua è una storia di integrazione e crescita, in un contesto dove i legami sociali e i commerci tra i due paesi erano ben consolidati, e spesso unioni matrimoniali come la sua con Antonia Romeo, venivano favorite da questa vicinanza. Giovanni, abile nella lavorazione del legno, si guadagnava da vivere non solo come mastro d’ascia ma anche gestendo i suoi terreni, contribuendo così al benessere della sua famiglia.
La coppia, Giovanni e Antonia, formava un nucleo familiare consistente, con figli che portavano con sé le speranze e le ambizioni del padre. Il primogenito, Bruno, era un chierico alla stesura del catasto, destinato a una vita religiosa che probabilmente gli avrebbe consentito di acquisire un certo prestigio. Seguivano Bernardina, di 13 anni; Andrea, di 10; Pasquale, di 9; Domenico, di 5 e, infine, il piccolo Giuseppe, ancora in fasce. In questo ambiente rurale e tradizionale, ogni membro della famiglia aveva il proprio ruolo, contribuendo all’economia domestica e alla vita della comunità.
Nel catasto del 1754, Giovanni, ormai sessantenne, si dichiarava "mastro di ascia," un termine che sottolineava la sua abilità e competenza come taglialegna, una professione essenziale in una regione come l’Aspromonte. La famiglia si era allargata con l’arrivo della sorella di Giovanni, Macrina, una giovane suora di 23 anni. In una realtà dove la famiglia allargata era un pilastro, la presenza di Macrina non era solo un supporto domestico ma rappresentava anche un legame prezioso con la tradizione familiare.
Il patrimonio di Giovanni era costituito da diverse proprietà, testimonianza di una vita di lavoro e sacrifici. In contrada Cucullo possedeva una terra che confinava con i terreni di Antonio Trimboli e del notaio Fabrizio Gliozzi, il che dimostra come il suo operato e i suoi possedimenti fossero riconosciuti e rispettati anche da famiglie di rango elevato. La famiglia abitava in una casa propria, situata nei pressi dell’abitazione di Antonio Barbaro, con una seconda casa utilizzata per esigenze domestiche, limitante con Domenico Marvelli e Tommaso Virgara. La loro residenza e proprietà non solo rappresentavano un segno di stabilità, ma dimostravano anche il radicamento e l’importanza della famiglia Fera nella comunità.
Tra i beni di Giovanni vi erano cinque tumulate di terra, parte aratorie e parte alberate, con piante di gelsi e noci, localizzate nella contrada Ferrilla e confinanti con i terreni di Giuseppe Cusenza e del magnifico Cipriano Zappia, un altro personaggio di rilievo. Ulteriori appezzamenti si trovavano in contrada Cuccumo, rafforzando l’immagine di una famiglia con una solida base economica.
Anni dopo, in un freddo giorno d’inverno del 4 gennaio 1809, apprendiamo dell’ultimo capitolo della vita di suor Macrina Fera. Abitava in vico San Nicola, si spense a circa 70 anni, portando con sé i ricordi di una famiglia laboriosa e devota. La sua morte, registrata con il consueto margine di incertezza sull’età, ci riporta alla fragilità della vita e alla fugacità del tempo.
La storia di Giovanni Fera e della sua famiglia è un intreccio di lavoro, fede e radici profonde, testimonianza di una vita vissuta in simbiosi con la terra e in armonia con la comunità aspromontana.
Domenico Fera e il Santuario di Polsi
Domenico Fera, autore del volume Sul Santuario di Polsi sito nella diocesi di Gerace. Memorie (1851), ha svolto un ruolo cruciale nella valorizzazione del patrimonio culturale calabrese. La sua opera non è solo una raccolta storica, ma una testimonianza spirituale che intreccia tradizioni, leggende e devozione. Racconta le origini del Santuario di Polsi, come il leggendario ritrovamento della croce da parte di un toro, e ne descrive i miracoli, l'architettura e gli ornamenti votivi.
Domenico Fera ricoprì inoltre il ruolo di Superiore del Santuario di Polsi dal 1836 al 1856, un periodo durante il quale si dedicò con fervore alla gestione e alla promozione del sito. Dedicando il suo lavoro alla Vergine Maria, ha contribuito a preservare e tramandare le storie e le tradizioni legate al Santuario, rendendolo un simbolo spirituale e culturale della Calabria.
Giuseppe Fera-Italiani: poeta calabrese tra spiritualità e classicismo
Religioso, è ricordato per le sue opere in latino e soprattutto per composizioni poetiche e letterarie di matrice classica e spirituale, dedicate a figure ecclesiastiche e temi religiosi, come dimostrano i suoi omaggi a Papa Leone XIII. Tra le sue opere principali spiccano l'elegia latina "Ad Pudicam Rosam" e la sua traduzione in italiano, in cui celebra la rosa come simbolo di purezza. Inoltre, compose altre poesie ed elegie che rivelano la sua devozione verso il clero, con dediche come quella al vescovo Francesco Saverio Mangeruva.
Graziella Fera, la prima notaio donna d’Italia
Graziella Fera, prima donna in Italia a ricoprire il ruolo di notaio, è stata una figura straordinaria di emancipazione e determinazione. Laureatasi a 22 anni, affrontò un’interruzione temporanea degli studi in giurisprudenza a causa della prematura morte del padre, ma li completò con successo, diventando un simbolo per le donne della sua epoca e oltre.
Oltre alla sua carriera, Graziella si distinse come narratrice appassionata, raccontando la vita e le tradizioni di Platì. Nei suoi scritti, come "Platì tra le due guerre," descrisse giochi infantili, mestieri artigianali e la solidarietà di una comunità autentica, seppur povera. Il ricordo del 10 giugno 1940, giorno dell'annuncio dell’entrata in guerra dell’Italia, segna la fine di un’epoca, immortalando l’atmosfera di paura e incertezza.
Graziella ha lasciato un’eredità culturale e morale unica, unendo il coraggio professionale alla capacità di preservare la memoria del passato, ispirando le generazioni future.
Rosario Fera, l’eroe commemorato e sindaco
Rosario Fera, figura di spicco della famiglia, nacque a Platì il 23 maggio 1887 da Michele Fera e Grazia Pistoni. Avvocato di professione, ricoprì ruoli amministrativi di rilievo, tra cui Commissario Prefettizio nel 1924 e Sindaco nel 1944. Nel 1928 commemorò il maresciallo Diaz con il discorso “Il transito dell’Eroe,” esprimendo la sua profonda devozione patriottica. Sposò Giuseppina Zappia nel 1921, da cui ebbe otto figli. Oltre alla carriera politica e legale, si dedicò alla scrittura di poesie e prose, spesso pubblicate a proprie spese. Morì il 21 agosto 1945, lasciando un'eredità di impegno civico e culturale. Mi ricorda Nunzia Coppola-Fera nei nostri scambi e confronti (spesso tramite messagistica): "Grazia, la primogenita, morì, e in seguito nacque Grazia, mia mamma. In famiglia vivevano tre sorelle e quattro fratelli. Filippo frequentò l’Accademia di Modena, ma poi abbandonò la carriera militare. Leone aveva ben cinque specializzazioni. Iniziò come neurochirurgo in ospedale, ma decise di lasciare questa strada, nonostante il dispiacere del primario, che diceva che le sue mani erano troppo grosse per i lavori di precisione richiesti in quel campo. Passò quindi alla neurologia, ma era anche neuropsichiatra, neuropsichiatra infantile, cardiologo e medico dello sport. Ricordo che, quando ero alle medie, lo vedevo studiare sempre per le sue specializzazioni, mentre lavorava in ospedale.
Mia mamma fu maestra elementare a Platì e in altre località e si laureò in lettere classiche perché il padre le aveva sconsigliato una laurea considerata più “maschile,” come giurisprudenza, dicendole: “Se vuoi, puoi sempre laurearti anche in quella dopo.” Si laureò lavorando sempre come maestra e a soli 22 anni completò i suoi studi. Fu allora che suo padre le disse: “Vuoi ancora fare legge? Se vuoi, falla…” Ma poco dopo lui morì. Mia mamma aveva solo 22 anni, mia zia Lisa (la seconda sorella) 17, e il più piccolo dei fratelli appena sei mesi."
Il Dottor colonnello Fera
Noto per la sua carriera militare e per aver sposato Giulia Stranges, appartenente alla famiglia più facoltosa di San Luca, è stato una figura complessa e controversa nella storia della Calabria. Sebbene ufficialmente dedicato alla medicina e alle questioni militari,
il colonnello Fera operava anche in ambienti massonici, un dettaglio che getta una luce particolare sulle sue relazioni e sulle sue scelte. La sua vicinanza ai circoli più elitari e il suo legame con potenti famiglie locali suggeriscono una personalità abile e attenta a consolidare la propria posizione sociale, piuttosto che schierarsi apertamente a favore delle classi più deboli o bisognose. Questo aspetto contraddistingue la sua figura rispetto ad altri membri della famiglia Fera, noti per il loro contributo diretto e disinteressato alla comunità.
Il sacrificio e l’onore
Un capitolo particolarmente toccante è quello dedicato a Francesco Maria Fera, detto Ciccillo, figlio primogenito di Michele Fera e Concetta Hyeraci (Yeraci), nato a Platì il 4 marzo 1896. Ciccillo, soldato del 4° Reggimento Artiglieria, perse la vita il 29 ottobre 1916 sul Carso, a causa delle ferite riportate in combattimento durante la Prima Guerra Mondiale. Il suo sacrificio fu commemorato con una poesia composta dal sacerdote Ernesto Ghiozzi nel febbraio 1917, un tributo che celebra il dolore della madre e la gloria dell’eroe.
Maestre e studiose
Le donne della famiglia Fera hanno lasciato un’impronta indelebile non solo nella storia locale ma anche nella memoria collettiva di Platì. Maria Fera, fin dall’età di 17 anni, si dedicò all’insegnamento mentre studiava giurisprudenza, dimostrando una straordinaria determinazione. La sua passione per l’educazione e la cultura la rende un esempio di dedizione e impegno.
Accanto a lei, la sorella Graziella Fera intraprese un percorso altrettanto significativo, laureandosi giovanissima e diventando la prima donna notaio in Italia. Nonostante un’interruzione temporanea degli studi dovuta alla perdita del padre, Graziella riuscì a completare il suo percorso in giurisprudenza, diventando un simbolo di emancipazione per le donne della sua epoca. I suoi racconti evocativi, come quello sulla vita di Platì tra le due guerre, hanno catturato l’essenza di una comunità autentica, ricca di tradizioni, ma segnata anche dalle trasformazioni storiche.
Elisabetta Fera, altra sorella di Maria e Graziella, fu maestra e studiosa, lasciando un segno profondo nella cultura locale. Il suo racconto La Madonna e Platì è un toccante tributo al rapporto speciale tra la comunità platiese e la Madonna. In questo scritto, Elisabetta descrive con grande emozione la devozione dei platiesi verso le diverse Madonne che proteggono il paese, dalla Madonna di Loreto, con le sue due statue amate e venerate, alla Madonna del Rosario, invocata nei momenti di siccità e calamità naturali. Il racconto narra anche la relazione con le Madonne della Grotta e di Polsi, evidenziando storie di miracoli e di fede incrollabile che attraversano generazioni.
Queste tre figure femminili della famiglia Fera rappresentano non solo l’eccellenza intellettuale e professionale, ma anche un legame profondo con le radici culturali e spirituali di Platì, unendo tradizione e progresso in un esempio unico di dedizione e amore per la propria terra.
Michele Fera e il folklore calabrese
Michele Fera è stato un instancabile promotore del folklore calabrese, dedicando i suoi scritti alla valorizzazione delle tradizioni e delle storie della sua terra. Attraverso articoli pubblicati sulla Gazzetta del Sud tra il 1955 e il 1959, ha offerto una cronaca precisa e vivace della vita quotidiana di Platì e dei suoi dintorni, preservando ricordi, tradizioni perdute e vicende socio-economiche. Le sue corrispondenze, intrise di sensibilità e attenzione, rappresentano oggi un patrimonio culturale prezioso, capace di ispirare e illuminare il passato di una comunità in transizione.
Con uno stile narrativo che combinava dramma e leggerezza, Fera ha raccontato una comunità che cercava di superare l’arcaicità delle tradizioni, mantenendo però un legame con le sue radici. Il suo contributo culturale, benché interrotto dal suo abbandono di Platì, resta un vuoto significativo e una testimonianza del potenziale che avrebbe potuto offrire alle generazioni future.
Una famiglia tra resilienza e tradizione
Ogni documento, ogni atto ritrovato, rappresenta un pezzo di un mosaico che descrive la tenacia e la fierezza dei Fera. Dai matrimoni strategici che legavano la famiglia a importanti alleanze locali, alla trasmissione del sapere e della fede, i Fera hanno saputo adattarsi e contribuire significativamente alla comunità. Attraverso i secoli, la famiglia Fera ha mantenuto vivo un retaggio che va oltre il tempo, diventando una leggenda locale che continua a risuonare nei cuori delle persone che ne celebrano ancora oggi la memoria.
Dedico questa ricostruzione e narrazione della famiglia Fera a Nunzia Coppola-Fera, ultima custode di una storia che, attraversando i secoli, continua a vivere nei suoi ricordi e nei suoi ritorni a Platì, dove il passato trova ancora voce attraverso di lei.
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Al centro Nunzia con lo zio Leone Fera |
Ringrazio il prof. Violi per il suo studio e per avermelo dedicato. In effetti io sono molto legata alle mie radici che rivendico come substanziali al mio essere. Una grande famiglia che mi ha nutrita, tutti ineguagliabili per cultura e forza interiore! Plati li ha generati e nutriti. Mia mamma non e’ stato il primo notaio donna in italia ma certamente lo e’ stata a Bergamo, unica donna tra i notai della città e provincia per ben 10 anni…
RispondiEliminagrazie Nunzia
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