Si racconta che Filippo Romeo, nato l’1 ottobre del 1872 da Domenico Romeo e Caterina Sergi, sia emigrato nei primi del Novecento in cerca di fortuna. Di lui si dice fosse un musicista, elegante e raffinato, un uomo il cui fascino traspariva in ogni nota e in ogni gesto. La sua vita, tuttavia, si avvolge nel mistero e nella leggenda: si narra che morì in giovane età, tra i trenta e i quarant’anni, avvelenato da una donna.
La mancanza di dettagli certi è ampiamente compensata dai racconti e dalle storie che hanno attraversato il tempo, tramandati di bocca in bocca, finché non si sono radicati come parte dell’immaginario della famiglia e del paese. Di Filippo non resta molto, se non il ricordo protetto da suo pronipote, Ciccio Fotia, che conservo come un caro amico. Ciccio conserva una fotografia, l’unica rimasta, che ritrae Filippo in un abito a righe, elegante e dignitoso, scattata nella lontana New York e inviata con orgoglio alla famiglia in Italia.
foto su gentile concessione di Francesco Fotia |
C’è un episodio che emerge con nitidezza dai racconti: in occasione del terremoto devastante che colpì Messina e Reggio Calabria nel 1908, Filippo, da oltre oceano, scrisse una lettera al parroco di Platì. La notizia del sisma e delle vite distrutte gli giunse, e con ansia chiese una messa in memoria della sorella Maria, temendo che anche lei fosse rimasta vittima della catastrofe. In realtà, Maria, nata nel 1873, sopravvisse a quel disastro e morì molti anni dopo, nel 1967, divenendo bisnonna dello stesso Ciccio Fotia, oggi custode di questi frammenti di storia.
Filippo Romeo, emigrante e musicista, vive ora nei “si dice” che alimentano la sua memoria: aneddoti, frammenti e supposizioni che disegnano un uomo il cui nome non è ancora perduto. Sebbene le tracce siano poche, l’immagine di Filippo sopravvive in queste righe, dove riesco a ritrovarlo, ancora vivo, tra una nota e un ricordo.
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