Sono passati due anni or sono da quando, con l'aiuto di Toto Italiano, avevo affidato a queste pagine la storia di suo nonno, il partigiano Reggio, al secolo Pasquale Italiano, ed ecco che la storia ha intrapreso un viaggio che ha raggiunto quei luoghi, lontani da Platì, che hanno caratterizzato la vita e le disavventure di quel giovane soldato platioto. Mi giunge d'un tratto una mail, una storia nella storia che svela nuovi nomi, nuove vite e in un nuovo tempo che ci appartiene tutt'oggi più che mai, un racconto che testimonia l'efficacia della comunicazione e del far memoria con tutti gli strumenti oggi a disposizione poiché, parafrasando Gabriel Garcia Marquez “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.”
Ecco il testo così come l'ho ricevuto:
Le posso raccontare brevemente quanto mi ha riferito mia mamma.
L'episodio credo che si possa situare nell'inverno 1943-1944: mia mamma, Anna Cottura, aveva all'epoca circa 16 anni e viveva nella cascina di famiglia nel territorio di Envie, un piccolo comune a pochi chilometri da Saluzzo. La famiglia della mamma aveva in più occasioni sfamato e aiutato le brigate partigiane e, forse per questo, una sera arrivarono a bussare alla loro porta alcuni partigiani con un compagno ferito. Questo ragazzo era il partigiano "Reggio" e presentava una brutta ferita al ventre, mio nonno e mia nonna trovarono una sistemazione al ragazzo ferito che perdeva abbondantemente sangue facendolo adagiare in una mangiatoia nella stalla, il locale più caldo della cascina. Quindi mio nonno andò in paese, che distava alcuni chilometri, per chiamare il medico dottor Eugenio Bosio. Questi, incurante del pericolo che correva soccorrendo un partigiano in quelle terre infestate dai tedeschi e non esenti da spie e delatori, si recò prontamente al capezzale di Reggio, praticò le prime urgenti cure e spiegò a mia nonna come assisterlo. Compito che, come dice mia mamma, assolse come se fosse un suo figlio. Il medico tornò poi nelle sere successive, intorno alla mezzanotte per motivi di prudenza, per sincerarsi delle condizioni del ferito. Quest'ultimo, secondo i ricordi di mia mamma, era ridotto molto male e temettero per la sua vita vedendolo sofferente e dimagrito. In realtà temettero anche per la loro incolumità perché non era raro il passaggio, nei pressi della cascina, di truppe tedesche in cerca di rappresaglie. Più volte il ferito venne spostato dalla stalla ad un rifugio improvvisato mascherato dal fogliame che era stato appositamente costruito. Mia mamma non conosceva il nome di quel ragazzo ma si ricordava benissimo del suo nome di battaglia, Reggio e della sua città di origine, Platì. (Immagino, ma questa è una mia suggestione, che Reggio ne abbia decantato la bellezza e la nostalgia nei suoi giorni alla cascina Piagere, quando era costretto all'immobilità). Mia mamma ricorda anche con piacere che qualche anno dopo, quando lei era ormai sposata e non viveva più in famiglia, Reggio era tornato dai miei nonni ad esprimere il suo ringraziamento.
Questo è tutto. Cordialmente
Mario Banchio
11 gen 2022
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