L'America è avvenire. Del professor Bruno Gelonesi


Questo racconto si trova esposto all'interno della scuola media, insieme a una foto che ritrae l'autore cioè il professore Bruno Gelonesi. Qui ho deciso di riprenderlo perché la ricerca non si ferma mai. Ci può essere sempre qualcosa da dire e da scoprire e ho pensato di raccontarvelo a modo mio, attraverso la mia voce e delle immagini. In un modo che richiede uno sforzo, un impegno, una riflessione. Scandire la voce, fare una pausa, respirare e ricominciare sperando di poter offrire non solo un suono ma anche un sentimento. Quindi oltre il semplice copia incolla che potrei fare. 
Mi è molto caro come racconto: è presente la figura del maestro che vede oltre la sofferenza e le convinzione che possono dettare la vita dura dei campi e la fatica di un paese che prova a farsi spazio fra le macerie, come quelle del terremoto di Reggio e Messina del 1908. Il professor Gelonesi ha inserito, memore di cosa significa avere un padre che fatica per dare ai figli un'istruzione, il riscatto che nasce dal sapere o meglio la speranza che possa scaturire dalla conoscenza e quindi dai libri, forieri di viaggi che vanno di sicuro oltre l'America.

L'America come terra promessa
E poi vi è quel sogno che ha strappato tanti padri e intere famiglie dalla casa natia. Un sogno che a volte si è tramutato in miraggio ma anche in morte e che si chiamava "Merica". Il fenomeno dell'emigrazione platiese mi ha sempre attratto sin da ragazzino. Penso che ogni casa di Platì abbia una storia di uno zio d'America che lavorava in miniera o chissà in quale fabbrica metallurgica; che mandava i soldi per comprare un pezzo di terra; che regalava ancora sogni e sentimenti di riscatto ai propri cari. La maggior parte delle volte si partiva per non tornare. Di qualcuno si sono perse le tracce. 

                                          
Quell’inverno del 1909 fu molto rigido. Nella baracca faceva freddo e il maestro fumando una sigaretta dopo l’altra, stava leggendo le pagine più commoventi de “L’uomo che ride” a cinquanta alunni di quinta elementare, quasi tutti scalzi e con i geloni ai piedi. L’ambiente esterno sembrava quello descritto da Victor Hugo. 

La voce del maestro, all’improvviso, venne interrotta da una frettolosa bussata alla porta. Era Il padre di Francesco, il primo della classe, non solo nello studio. 

Buon giorno, signor maestro. Perdonatemi se vi disturbo. Ho ricevuto, proprio in questo momento, la lettera che aspettavo da mesi. Mio fratello, l’americano, ha inviato l’atto di richiamo per Francesco. 
Entro un mese, Dio piacente, potrà partire per Boston. Oggi per la mia famiglia è un gran giorno. Si apre una strada non solo per Francesco, ma per tutti i suoi fratelli. Ho dieci bocche da sfamare e le mie braccia non possono durare a lungo e qui, per noi braccianti, tra terremoto e angherie degli “gnuri” la nostra vita si fa sempre più difficile. L’America, l’America è l’avvenire per la mia famiglia e Francesco, oltre ad aiutarmi a sfamare i fratelli, sarà il loro avvenire, perché mio fratello mi ha sempre scritto che l’America è un paese dove c’è pane bianco per tutti. Questa notizia siete il primo ad averla. Dopo voi vado dal suo “mastro” don Peppino, il sarto. Vi chiedo ancora scusa se mi sono permesso di disturbarvi e vi ringrazio per quanto avete fatto in questi cinque anni per mio figlio. 

La bussata, l’entrata e le parole del padre di Francesco piombarono nell’aula come una fiondata turbando il maestro e trasecolando i fanciulli. 
Dopo qualche istante, il maestro, con la sua flemmatica voce, intervenne: 

Non so, caro Domenico, se debbo essere contento di quanto dici. So che Francesco è nato per studiare e se studia ha davanti a sé un grande avvenire. L’America non è poi come si crede. Di certo il pane bianco non si trova per strada, bisogna sudare per procurarselo. Non ti illudere! Per te, poi, posso dirti che quanto prima il governo dovrà pure ricostruire il paese. Ormai sono passati due anni dal terremoto! Ci sarà tanto lavoro che dovranno rientrare tutti gli emigrati. Pensa a quello che fai! Non farti abbindolare. 

E’ perché non mi illudo che mando Francesco in America! – rispose con convincente forza, il padre di Francesco. – Non credo alle chiacchiere dei governanti; sono troppo lontani da noi e non conoscono i fatti nostri. Al massimo daranno i contributi ai signori per rimodernare i loro palazzi, i soli rimasti intatti. Che importa a loro delle nostre case di fango e pietra. Tanto noi non possiamo votare. Tra non molto verranno a smontare anche le baracche. Non offendetevi signor maestro, ormai la fortuna non me la faccio sfuggire.


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