Di recente ho pubblicato il racconto "l'America è l'avvenire"; ora vi presento meglio il suo autore cioè Bruno Gelonesi. Nato come Domenico (ma sempre chiamato Bruno) dal grosso proprietario terriero di Cirella di Platì, Francesco Gelonesi e da Maria Marvelli. Vide la luce il 14 novembre 1891. Da li a poco l'Italia si "preparava" per la prima esperienza del liberale Giovanni Giolitti mentre Platì, ebbene penso che il pastore e il contadino fossero sempre quelli del 1861 (e poi perché sarebbero dovuti cambiare) ma nuove menti luminari nascevano a dare nuova linfa culturale al paese e fra questi, appunto, Bruno Gelonesi.
Francesco Gelonesi |
Il padre era una persona piuttosto distinta, fiero del suo lavoro al punto da permettergli di mantenere tutti e tre i figli maschi all'università di Napoli: Giuseppe (avvocato a Napoli), Gregorio (ammiraglio della marina militare che viveva a Roma e di cui parlerò più avanti) e Domenico (cioè Bruno). C'erano ancora due figlie: Lisa che visse a Santo Stefano d'Aspromonte e Francesca che rimase ad accudire e sostenere i fratelli durante lo studio. Quest'ultima, pur non studiando, a furia di ascoltare i fratelli aveva appreso l'alfabeto greco.
Torniamo a noi
Attilio Caruso nel ricordare il professore Gelonesi scrive:
Non sapevo si chiamasse Bruno, per gli scolari era Gelonesi il vecchio, per distinguerlo dai figli. Alcuni di noi, più attenti, lo chiamavamo il direttore o il fiduciario perché rappresentava, nel nostro territorio, il direttore didattico che risiedeva a Bovalino o a Locri. Era uomo mite, ordinato e grande fumatore. Ricordo che era presidente all'esame di quinta elementare. Un commissario chiese ad uno esaminando dove nasce il fiume Tevere, il ragazzo non rispondeva. Allora il maestro Bruno, che stava fumando, girò la mano in modo che la sigaretta fosse verticale rispetto alla cattedra a guisa di monte che fuma, attirò l'attenzione dell'alunno con un piccolo colpo di tosse. Il ragazzo colse l'aiutino e disse: monte Fumaiolo.
Abitava in via Umberto I. Aveva una cultura immensa: recitava a memoria i classici greci e latini, cantava le opere liriche, suonava il violino. Fu maestro e contemporaneamente fiduciario nella scuola elementare per quarant'anni. Durante il terremoto del 1908, si trovava a Messina come studente, iscritto alla facoltà di pedagogia. Rimase 24 ore sotterrato dalle macerie e si salvò solo perché si mise sotto al letto. Morì il 15 febbraio 1983, a 91 anni, lasciandoci traccie della sua vasta cultura come la poesia qui riportata:
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