Nome di battesimo Schimizzi Domenico Antonio ma lo chiamavano tutti Antonio. È al centro seduto in questa foto che è stata scattata nella località "panarefulu" che si poteva raggiungere dal "serru", da dietro la "rocca" oppure da dove c'èra "a funtaneja du Venga", da quanto mi ha raccontato Mimì Schimizzi, nipote del protagonista di questa storia.
Antonio nasce il 21 novembre 1923 da Domenico Schimizzi e Elisabetta Iermanò. Terzo figlio in una prole di sei maschi. Frequenta fino la terza elementare e per il resto - come ci ha trasmesso lui stesso nel suo diario - i suo quaderni sono stati il terreno e la sua penna la zappa. Chiamato alle armi nel 1942 parte per la Jugoslavia. L'8 settembre dell'anno successivo è catturato dai tedeschi e portato in un campo di concentramento. "Nel 1945, dopo anni di sofferenze, lavoro forzato, umiliazione e fame, trattati da prigionieri al disotto degli animali, sono stato fortunato di ritornare al mio focolare, nel paese dove sono nato. Ma come l'ho lasciato non l'ho trovato, solo miseria e fame, tutto devastato." Nel 46 sposa Caterina e nel 1951, si imbarca verso l'Australia alla ricerca di una nuova vita. Passano ancora due anni prima di poter richiamare a se la moglie e la figlia. Ma i sacrifici vengono ripagati e in terra straniera nascono altri due figli. Padre di tre figli, nonno di nove nipoti, bisnonno di 8, si spegne il 20 novembre del 2011.
Il Giorno della Memoria si celebra il 27 gennaio perché in questa data le Forze Alleate liberarono Auschwitz dai tedeschi. Al di là di quel cancello, oltre la scritta «Arbeit macht frei» (Il lavoro rende liberi), apparve l’inferno. E il mondo vide allora per la prima volta da vicino quel che era successo, conobbe lo sterminio in tutta la sua realtà. Il Giorno della Memoria non è una mobilitazione collettiva per una solidarietà ormai inutile. È piuttosto, un atto di riconoscimento di questa storia: come se tutti, quest’oggi, ci affacciassimo dei cancelli di Auschwitz, a riconoscervi il male che è stato.
Quanti platiesi non hanno fatto più ritorno dalle guerre, quanti hanno vissuto la prigionia nei campi di concentramento. Facciamo memoria attraverso questo ricordo.
Platì, agosto 1986. Schimizzi Domenico (a destra) in compagnia di Pasquale Rinaldo |
Stalag o Stammlager è un termine utilizzato per indicare i campi di prigionia tedeschi per i prigionieri di guerra. Si tratta di un'abbreviazione di Mannschaftsstamm- und Straflager.
RispondiEliminaSecondo la Terza Convenzione di Ginevra del 1929 e secondo quelle che l'hanno preceduta, la Convenzione dell'Aia (1907), parte IV capitolo 2, questi campi sono solo per prigionieri di guerra non civili. Gli Stalag furono in uso sia nella prima che nella seconda guerra mondiale per i non ufficiali (truppa semplice nell'esercito americano, altre truppe nelle forze del commonwealth britannico). I prigionieri normalmente venivano catturati, trasportati nelle stazioni ferroviarie (dove bisognava lasciare armi e bagagli che sarebbero arrivati successivamente) e caricati su vagoni piombati in condizioni disumane. Ovviamente i bagagli non arrivavano mai e venivano destinati ai civili e orfani di guerra di razza ariana. In certi casi alcuni prigionieri militari inglesi furono rinchiusi nei ghetti di Vilnius e di Lodz, assieme agli ebrei, zingari, omosessuali,perseguitati politici e criminali comuni. Dalle cifre reperibili online risulta che dei 3,2 milioni di prigionieri russi e 1,8 delle altre nazionalità(sia civili che militari), poco più di un milione moriranno nei circa 300 campi di concentramento sparsi in tutta la Germania;In questi lager la sopravvivenza era difficile e non tutti riuscirono a superare i molti anni di prigionia. Gli ufficiali erano detenuti in accampamenti a parte, gli Oflag.
fonte: wikipedia
Questo era mio zio Domenico Antonio Schimizzi, figlio di Domenico Schimizzi "u Cruciatu" e fratello di mio nonno Francesco. Quest'ultimo mi raccontava che mio zio era soldato e che, dopo dell'armistizio dell' 8 Settembre 1943, fu catturato dai tedeschi e deportato in Germania fino alla conclusione del secondo conflitto mondiale. Fortunatamente fu internato presso una fattoria dove ebbe modo di farsi apprezzare nel lavoro dei campi, siccome era contadino e figlio di contadini. I proprietari della fattoria ammirarono le sue qualità e gli vollero bene.
RispondiEliminaChiedo scusa per l'intervento, conosco una professoressa di Tizzano (Parma) che ha avuto il padre prigioniero nello stesso campo di concentramento. Desidererebbe leggere il volume che Domenico Antonio Schimizzi ha scritto in Australia nel 2010. Per cortesia potreste indicarmi se ne esistono copie in Italia o se è possibile contattare figli, nipoti o pronipoti a Canberra per riceverne una copia contrassegno? Grazie di cuore Gianluca Bottazzi glbottazzi@gmail.com
RispondiEliminabuonasera Gianluca. Quello che possiamo fare nell'immediato è metterla in contatto con uno dei nipoti che vive in Liguria. Comunicheremo la sua mail. Grazie per averci scritto
RispondiEliminasig Bottazzi. nel frattempo abbiamo recuperato il link della libreria dove, supponiamo, si possa richiedere il volume: https://catalogue.nla.gov.au/Record/4835600. Se serve altro ci scriva pure
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