A Platì anche i bambini sono bambini
Giorni fa su uno dei maggiori quotidiani della Calabria, l’unico che possa vantare di chiamarsi con lo stesso nome, CALABRIA ORA appunto, è stato pubblicato un REPORTAGE (è molto più altisonante presentare un articolo con questo termine poiché rimanda a un lavoro d’indagine e investigazione sul campo) su Platì, su questo paese aspromontano noto ormai ai media e alle maggiori testate giornalistiche nazionali ed estere. Noto alla gente di ogni dove che a Platì non ci metterà mai piede (spiegherò dopo perché) ma che allieta il palato con i suoi formaggi, i salumi e il pane (simbolo di Platì)… almeno questo! Potremmo dire. Entro meglio nei dettagli appellandomi al diritto di replica. Diritto di replica? E che cosa voglio replicare? So che il direttore del quotidiano in questione, Piero Sansonetti, si è già scusato ma io voglio dire la mia sull’articolo pubblicato venerdì 15 Aprile 2011. Venerdì mattina io ero a Milano, nel mio ufficio, quando mi arriva la telefonata di uno dei miei migliori amici: “è uscito questo articolo, ad un certo orario potrai scaricarlo da internet ma leggilo prima di mangiare”. Mi son domandato e perché mai? Cosa ci sarà scritto al punto da far venire il voltastomaco? Il solo titolo ha suscitato rabbia e dispiacere. Ma perché tali parole e affermazioni? Tutto a un tratto spunta questo reportage ma dettato da cosa? Quale l’obiettivo? Be… penso che molti altri Platiesi si siano posti le medesime domande. Non si offendano i giornalisti Ilario Filippone e Daniela Ursino se mi soffermo sul titolo, che in prima pagina presentava tale reportage, ricambiandone il tono perché il loro diceva “QUI ANCHE I BAMBINI SONO MAFIOSI” io, dico che ciò sa di MENZOGNA, BLASFEMIA, DENIGRAZIONE. È addirittura anticristiana un’affermazione simile ma forse questo interessa poco ai signori di cui sopra. Ma mi domando come si fa a fare notizia sui bambini? L’anima di una società, la speranza di un popolo. Come si fa? Ma ci si rende conto? Stiamo parlando dei bambini. Gesù Cristo disse “lasciate che vengano a me” mentre in quel titolo sembra si dica “lasciate che vadano”, che vadano allo sbaraglio perché ormai anche loro fanno parte di un male; male di cui io sono stanco di sentirne parlare. Penso a uno di quei ragazzi che venerdì scorso ha letto il giornale (scusate se cado di nuovo nella banalità ma anche a Platì i bambini leggono) e mi domando cosa possono aver pensato. I ragazzi girano senza casco per il semplice fatto che non vi è la concezione, tutto qua, e senza farne una colpa. Non che non si conosca il codice della strada ma ancora non si è pronti per il casco. A Platì certi cambiamenti avvengono pian piano. In un paese di poco più di quattromila anime, dove tutti si conoscono e si mantengono usi e costumi, alcuni molto antichi, le novità prima di aderire e radicarsi nel substrato della mentalità di un popolo tradizionalista, richiedono tempo. Ma il punto non è il casco ma i titoli dati ai ragazzini. Preciso: non esistono “motovedette”, non esistono i “bambini sentinella” e nessuno si da il cambio per spiare e osservare e magari fare rapporto al quartier generale dei movimenti che avvengono in paese. È naturale che il forestiero sia subito notato com’è naturale che gli si venga subito aperta la porta per ospitarlo e presentargli una tavola bandita di ogni bene, frutto del duro lavoro dell’uomo che sia contadino, pastore, commerciante ecc. A Platì l’ospite è sacro e ce l’hanno insegnato gli antichi greci così come il banchetto post mortem per commemorare (se si può serenamente) il defunto o il ballo della tarantella per festeggiare i novelli sposi (antico ballo propiziatorio). A Platì c’è del SACRO che comincia sull’altare di Nostro Signore davanti alla Madonna di Loreto, cui tutti i Platiesi vicini e lontani sono devotissimi. E il prete a Platì non ha il vieto di aprire bocca, assolutamente. Sarebbe una contraddizione che il predicatore per eccellenza non potesse parlare. Un’altra cosa: SUOR ANNALISA ha smentito le parole che i giornalisti hanno riportato e l’ha riferito alla sua gente con tanto di discorso dall’altare. Non ce n’era bisogno carissima Suor Annalisa perché sappiamo che lei crede nella gente di Platì e nei suoi bambini ma soprattutto che questo non è un “paese surreale”. Le chiavi rimangono attaccate alla porta perché ci si fida del vicino. E se per caso ci si accorge che è terminato il pane da mettere in tavola e magari è domenica e gli ospiti stanno per arrivare, si bussa (o sigira semplicemente la chiave) dal vicino. Una cosa è vera, ci sono delle mancanze socio-culturali e ludiche, pensando soprattutto ai bambini, ma non per colpa dei Platiesi ma per vicende storico-politiche che bisogna approfondire in altra sede. Quindi, carissimi sig. Filippone e Ursino, che con cotanta perizia avete stilato tale reportage, mi chiedo quanto tempo avete passato a Platì da riportare tali affermazioni? Quanti bambini di Platì avete conosciuto? Qual è la vostra fonte? V’invito io a fare un bel reportage su Platì. Vi farò da Cicerone. V’invito per lavorare insieme con noi, io e altri ragazzi che già ci siamo mobilitati, per una Platì migliore. Io mi chiamo Francesco Violi e sono stato un bambino di Platì. Oggi sono Responsabile Formazione di tre collegi universitari d’eccellenza nel capoluogo lombardo. Mi porto dietro quella che si può definire cultura della strada. Mi è stata data a Platì e ne vado fiero. Aggiungo che sono il nipote del fu sindaco Domenico Demaio che tutti oggi ricordano, visto che nell’articolo è stato citato. Finisco dicendo ai genitori di Platì non smettete di educare mentre ai bambini, non smettete di inseguire i vostri sogni.
26/04/11
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