Questo racconto di Paola Violi è una toccante testimonianza dell'alluvione che devastò Platì nel 1951, un evento che cambiò per sempre la vita della comunità. Paola ci trasporta in un tempo lontano, quando, da bambina, osservava il padre coltivare la terra accanto alla fiumara, tra il profumo della terra e il mormorio dell’acqua che scorreva pacifica. Un’immagine bucolica, quasi serena, spezzata all'improvviso dal fragore dell'alluvione.
L’autunno del 1951 si rivelò tragico: piogge incessanti gonfiarono il fiume che, fuori controllo, invase le strade e le case. Paola ricorda con vividezza il momento della fuga, il frastuono dell’acqua e il buio della notte, interrotto solo dalla piccola luce del mulinaro che dava l’allarme. I suoi genitori, in preda all’angoscia, avvolsero lei e i suoi fratellini nelle coperte e li portarono in salvo, insieme alla zia e ad altri paesani che correvano disperati per i vicoli allagati. Al risveglio, Platì era irriconoscibile: il paese, coperto di fango, le case distrutte, le strade sconvolte. Paola ricorda i racconti dei sopravvissuti, tra cui quello commovente di Rosario Portolesi che, con coraggio, riuscì a salvare una madre e i suoi bambini intrappolati in casa. La solidarietà tra i paesani fu straordinaria: chi aveva qualcosa lo condivideva, offrendo pane e conforto a chi aveva perso tutto. L’alluvione non risparmiò nulla e portò via anche pastori e greggi, lasciando segni profondi sul territorio e nei cuori. Eppure, in mezzo a quella devastazione, si accese una scintilla di speranza: la comunità, unita, si rimboccò le maniche per ricostruire, pulire, aggiustare. Un raggio di sole durante la processione della Madonna segnò l’inizio di una nuova era, ma l'alluvione restò per sempre impressa nei ricordi di Platì come un monito e un segno di resilienza.
"Dovevo avere tre anni, mi ricordo il pezzetto di terra che mio papà coltivava, insieme a mia mamma, proprio in prossimità della fiumara. doveva essere primavera, io seduta su un sacco di iuta guardavo i miei genitori zappare, giocavo con i sassolini che riuscivo a prendere. Sento ancora l’odore della terra, il rumore dell’acqua che scendeva, un sole splendido e un tiepido venticello che mi accarezzava le guance. Una farfalla svolazzava intorno ed io cercavo di prenderla. Era bello il nostro fiume con le sue acque cristalline e il suo mormorio lieve finché nell’ottobre del 1951 diventò un incubo: pioveva da diversi giorni, una pioggia scrosciante, non si poteva uscire fuori poiché le strade erano dei ruscelletti e avevano già chiuso le scuole. Il fiume cominciò ad ingrossarsi, era controllato notte e giorno quella notte. Noi eravamo nella stanza di sopra, noi bambini sul lettone ma c’era troppo rumore per prendere sonno. I miei genitori dietro i vetri della finestra guardavano fuori e a un certo punto sentimmo un frastuono che ci vide tutti insieme a guardare fuori. A un 100 metri di fronte a noi, dalla sua finestra, il mulinaro mandava segnali con una piccola luce; i miei genitori scattarono subito “andiamo, presto”, presero delle coperte ce le misero addosso, chiamarono mia zia che abitava accanto e tutti insieme, al buio pesto, con acqua fra cielo e terra, cominciammo a correre verso la parte opposta del fiume. I vicoli, le strade erano piene di gente che correva senza un dove. Sentivamo gridare da tutte le parti, fuggivamo ma l’acqua dietro ci seguiva. Giunti alla cresiola, dove c’erano i palazzi alti dei signori del paese, entrammo attraverso un atrio grande e al buio salimmo al primo piano. Lì entrammo in una grande camera dove c’era un grande letto, noi bambini andammo a dormire. La nostra famiglia e quella di mia zia, ma di quella notte non ricordo nient’altro. Al risveglio i grandi non c’erano, per tutti il giorno siamo rimasti in casa. Al loro ritorno ci siamo messi a sentire i commenti: il paese era a terra, le case distrutte, le strade piene di fango specialmente quelle dal ponte fino la calata dove aveva il bar Donnarante. raccontavano di una commare che abitava dopo la casa du bumbiu, il marito era via e lei si era rifugiata con i quattro bambini sul solaio gridando aiuto. Rosario Portolesi, aiutato da altri, servendosi di una scala li portò in salvo tutti. Intanto la moglie era riuscita a farsi dare la chiave da una vicina e portò in salvo i due bambini rimasti nel catoio di sotto. Non so come si chiamasse ma aveva un solo braccio, come mio papà. In quei giorni non mancò la solidarietà, ci si aiutava a vicenda. c’era sempre un pane per chi aveva perso la casa. C’era aiuto morale e materiale anche perché non potevamo aspettarci aiuto da nessun altro. Eravamo isolati da una parte e dall’altra. C’era stata una frana a Saneju, il fiume aveva rotto gli argini e le acque erano entrate in paese. Un’altra frana era o serru e aveva interrotto la strada per Natile. Anche Natile era isolato e aveva avuto vittime e disastri. La linea elettrica con la centrale vicino a rocca, distrutta e si cominciavano a contare i morti. Tanti pastori col loro gregge non avevano fatto in tempo a salvarsi. Non si trovarono neppure i corpi. Il cielo era ancora grigio e avevamo tutti paura. Mentre gli uomini cercavano di pulire le strade e le donne di recuperare qualcosa rimaste nelle case, noi bambini ci divertivamo a entrare dalle finestre, il fango era diventato terra. Si vedevano scorgere dalle pareti i chiodi di un quadro rotto, qualche ciocca di pomodori appesa alle travi. Il resto era sotto quei metri di terra. Mi ricordo qualche giorno dopo andammo in comune per prendere delle coperte e della pasta lunga avvolta in carta blu. Arrivarono anche i carrelli per togliere la terra e tutti i nostri uomini, giovani e vecchi, si prodigarono per pulire il paese e aggiustare le case. Poi c’è stato l’episodio di quel raggio di sole quando la Madonna fu portata in processione; fu un nuovo inizio ma l'alluvione segnò per sempre le vite di tutti."
Paola Violi
Mia nonna mi raccontava della bellezza del paesaggio oltre il ponte, fantasmagorico per fiori, alberi, clivi…c’era un viale di alberi le cui chie si intrecciavano formando un corridoio ombroso dal dopo il ponte fino alla curva. Un sogno, così diceva, finito per sempre per la devastante alluvione. Certo fine meno drammatica della rovina di vite spezzate e case spazzate via …
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