C’era sempre un pane per chi aveva perso la casa - Ricordando l’alluvione del 1951



Dovevo avere tre anni, mi ricordo il pezzetto di terra che mio papà coltivava, insieme a mia mamma, proprio in prossimità della fiumara. doveva essere primavera, io seduta su un sacco di iuta guardavo i miei genitori zappare, giocavo con i sassolini che riuscivo a prendere. Sento ancora l’odore della terra, il rumore dell’acqua che scendeva, un sole splendido e un tiepido venticello che mi accarezzava le guance. Una farfalla svolazzava intorno ed io cercavo di prenderla. Era bello il nostro fiume con le sue acque cristalline e il suo mormorio lieve finché nell’ottobre del 1951 diventò un incubo: pioveva da diversi giorni, una pioggia scrosciante, non si poteva uscire fuori poiché le strade erano dei ruscelletti e avevano già chiuso le scuole. Il fiume cominciò ad ingrossarsi, era controllato notte e giorno quella notte. Noi eravamo nella stanza di sopra, noi bambini sul lettone ma c’era troppo rumore per prendere sonno. I miei genitori dietro i vetri della finestra guardavano fuori e a un certo punto sentimmo un frastuono che ci vide tutti insieme a guardare fuori. A un 100 metri di fronte a noi, dalla sua finestra, il mulinaro mandava segnali con una piccola luce; i miei genitori scattarono subito “andiamo, presto”, presero delle coperte ce le misero addosso, chiamarono mia zia che abitava accanto e tutti insieme, al buio pesto, con acqua fra cielo e terra, cominciammo a correre verso la parte opposta del fiume. I vicoli, le strade erano piene di gente che correva senza un dove. Sentivamo gridare da tutte le parti, fuggivamo ma l’acqua dietro ci seguiva. Giunti alla cresiola, dove c’erano i palazzi alti dei signori del paese, entrammo attraverso un atrio grande e al buio salimmo al primo piano. Lì entrammo in una grande camera dove c’era un grande letto, noi bambini andammo a dormire. La nostra famiglia e quella di mia zia, ma di quella notte non ricordo nient’altro. Al risveglio i grandi non c’erano, per tutti il giorno siamo rimasti in casa. Al loro ritorno ci siamo messi a sentire i commenti: il paese era a terra, le case distrutte, le strade piene di fango specialmente quelle dal ponte fino la calata dove aveva il bar Donnarante. raccontavano di una commare che abitava dopo la casa du bumbiu, il marito era via e lei si era rifugiata con i quattro bambini sul solaio gridando aiuto. Rosario Portolesi, aiutato da altri, servendosi di una scala li portò in salvo tutti. Intanto la moglie era riuscita a farsi dare la chiave da una vicina e portò in salvo i due bambini rimasti nel catoio di sotto. Non so come si chiamasse ma aveva un solo braccio, come mio papà. In quei giorni non mancò la solidarietà, ci si aiutava a vicenda. c’era sempre un pane per chi aveva perso la casa. C’era aiuto morale e materiale anche perché non potevamo aspettarci aiuto da nessun altro. Eravamo isolati da una parte e dall’altra. C’era stata una frana a Saneju, il fiume aveva rotto gli argini e le acque erano entrate in paese. Un’altra frana era o serru e aveva interrotto la strada per Natile. Anche Natile era isolato e aveva avuto vittime e disastri. La linea elettrica con la centrale vicino a rocca, distrutta e si cominciavano a contare i morti. Tanti pastori col loro gregge non avevano fatto in tempo a salvarsi. Non si trovarono neppure i corpi. Il cielo era ancora grigio e avevamo tutti paura. Mentre gli uomini cercavano di pulire le strade e le donne di recuperare qualcosa rimaste nelle case, noi bambini ci divertivamo a entrare dalle finestre, il fango era diventato terra. Si vedevano scorgere dalle pareti i chiodi di un quadro rotto, qualche ciocca di pomodori appesa alle travi. Il resto era sotto quei metri di terra. Mi ricordo qualche giorno dopo andammo in comune per prendere delle coperte e della pasta lunga avvolta in carta blu. Arrivarono anche i carrelli per togliere la terra e tutti i nostri uomini, giovani e vecchi, si prodigarono per pulire il paese e aggiustare le case. Poi c’è stato l’episodio di quel raggio di sole quando la Madonna fu portata in processione; fu un nuovo inizio ma l'alluvione segnò per sempre le vite di tutti.

Paola Violi


1 commento:

  1. Mia nonna mi raccontava della bellezza del paesaggio oltre il ponte, fantasmagorico per fiori, alberi, clivi…c’era un viale di alberi le cui chie si intrecciavano formando un corridoio ombroso dal dopo il ponte fino alla curva. Un sogno, così diceva, finito per sempre per la devastante alluvione. Certo fine meno drammatica della rovina di vite spezzate e case spazzate via …

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