25 aprile per Platì: una storia di nomi che ritornano



Ci sono nomi che ritornano. Non per caso, ma perché chiedono di essere ricordati. Sono come i passi che si fanno a ritroso nel silenzio di un sentiero — quel sentiero che da Platì porta lontano, e poi ritorna. Quando arriva il 25 aprile, ogni anno, sento il bisogno — forse il dovere — di tornare a cercare. Di non lasciar spegnere voci, volti, storie.

Nel dicembre del 2017, su questo blog, raccontai la vicenda di Pasquale Taliano, partigiano platiese, ferito in combattimento nelle Langhe, compagno tra i ranghi della Divisione Garibaldi. Lo chiamavano Reggio. Quel nome da solo bastava a dire tutto: sud, terra, famiglia, appartenenza.

Cinque anni dopo, un’altra testimonianza arricchiva la sua storia: un salvataggio durante un rastrellamento nel Cuneese, una cascina, la neve, la paura. E ancora lui, Reggio, il partigiano calabrese che rischiò la vita per la libertà. Era sempre lui. Era ancora lui.

E oggi torno a scriverne, perché quella storia non è finita. Perché accanto a Pasquale Taliano, a Reggio, ce n’erano altri. Altri figli di Platì che, con nomi di battaglia come Silenzio, Anna, Pippo, Giovanni, Ratt, salirono sulle montagne del Nord, si unirono ai gruppi partigiani e combatterono per un’Italia che forse non avevano mai visto intera. Ma la sognavano. Li ho ritrovati nei registri della memoria, tra le carte della banca dati del partigianato piemontese. È il momento di nominarli uno a uno. Di riportarli a casa, almeno con le parole.

Il primo nome che incontro, dopo quello di Pasquale Italiano, è Domenico Barbaro. Lo chiamavano Silenzio. Un nome che sembra una poesia, un ossimoro in tempo di guerra. Nato a Platì nel 1920, partì con l’Esercito, reparto di sussistenza, e poi scelse la lotta. L’11ª Divisione Garibaldi, 15ª Brigata. Dal 15 ottobre del ’43 all’8 giugno del ’45 fu partigiano a tutti gli effetti. Silenzioso forse, ma presente. Come quei volti che non parlano ma non si dimenticano.

Poi c’è Pasquale Barbaro, classe 1912. Anche lui combattente nella 2ª Divisione Redi, Brigata Comoli. Il suo nome di battaglia era Anna — un nome femminile, chissà per chi, chissà perché. Forse una figlia, una sorella, una promessa. Combattente riconosciuto, undici mesi in attività. Undici mesi di scelte, marce, freddo, paura e coraggio.

Giuseppe Carbone, invece, era Pippo. Nato nel 1920 nella frazione di Cirella. Studente. Aveva studiato, eppure la storia lo chiamò fuori dai libri. Dall’esercito passò alla 1ª Divisione Langhe, 2ª Brigata Mondovì. Partigiano dal giugno del ’44 al giugno del ’45. Un anno di fuoco e speranza. Fu anche deportato, tra il gennaio e il marzo del ’44. Ma tornò.

Arcangelo LentiniGiovanni, il suo nome di battaglia — nacque a Platì nel 1919 ma nella scheda risultava residente a Fossano, in Piemonte. Entrò nella 20ª Brigata GL e fu riconosciuto come benemerito. Il che vuol dire che fece la sua parte, senza clamori, senza medaglie. Ma sufficiente a far scrivere il suo nome nella memoria collettiva della Resistenza.

Romano Agostini, il più giovane. Nato nel 1928, aveva appena sedici anni quando si unì alla 2ª Divisione Redi. Il suo nome di battaglia era Ratt, come un topo di trincea, come uno che sgattaiola tra le maglie del pericolo. Di lui si sa poco, ma basta l’anno di nascita per farsi un nodo alla gola: era un ragazzo. E anche lui era di Platì.

E infine ancora lui: Pasquale Taliano, Reggio. La sua storia già l’abbiamo narrata, ma a ogni rilettura si arricchisce di senso. Ogni nuovo documento, ogni testimonianza aggiunge un dettaglio, un tratto in più a questo ritratto coraggioso e dolente. Oggi, il 25 aprile, non è solo il giorno della Liberazione. È il giorno in cui la storia ci chiede di scegliere da che parte stare: dalla parte dell’oblio o da quella del ricordo. E io scelgo il ricordo. Scelgo di scrivere. Di nominare. Perché Silenzio, Anna, Pippo, Giovanni, Ratt e Reggio non siano più solo segni su una scheda d’archivio, ma volti, voci, figli di una terra difficile e bella. Una terra che li ha visti partire e, per molti, non tornare mai più.

2 commenti:

  1. The names mean little without the story. You took it from a statistic and made it human. Thank you for the story.

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