La pubblicazione è dell'era fascista, una di quelle che mirava a esaltare la patria e le gesta eroiche di italiani in casa e fuori casa. Il platioto che è finito in Italia madre, gente nostra per il mondo di Ugo E. Imperatori · 1929, di cui furono pubblicate solo 25 copie, si chiamava Tommaso Marando. Nelle prime pagine leggiamo il messaggio che Mussolini diresse agli emigranti dopo la marcia su Roma: O Italiani, voi che vivete lungi dall'Italia dovete sentire che l'essere Italiano costituisce per voi un motivo di grande orgoglio, non solamente per il ricordo di Roma antica, ma anche per le possibilità e la sicurezza del futuro.
Anche questa, come altre storie che ho scovato in giro e poi ricostruite, assemblate, riscritte e qui riportate, ci permettono di aggiungere sempre nuovi nomi, personaggi e scorci sul nostro passato, la nostra storia. Quanti gli emigranti a partire, molti i pianti, tanti i sogni realizzati e alcuni frantumati. Quanti quelli che non hanno nemmeno raggiunto la meta? Quanti quelli che han potuto fare ritorno per rivedere i propri cari ancora un'ultima volta?
Era il 1924 e nel gennaio di quell'anno veniva alla luce mio zio Antonio Trimboli di Rosario parlinu e Miceli Francesca, sei figli e una tragica morte; mentre la cittadinanza si dedicava a lavori di riparazione nella chiesa di S. Pasquale, Ciccillo Portolesi, pubblicava Il signor Anchilosi, versi inediti dell'amico Rosario Fera, professore e avvocato, che in quell'anno era commissario prefettizio; Zappia Pasquale di Carlo pubblicava A ccòla! A ccòla! … i cui primi 4 versi così recitano:
Vidisti mai lu lupu pecuraru,
la gurpi pemmu guarda li gaijni,
vidisti mai lu meli m’esti amaru
e lu ruvettu mu cangia li spini?
Tommaso Marando era nato a Platì nell'aprile del 1880, da Giuseppe Antonio Marando e Francesca Pangallo. Si era imbarcato per l'America nel 1891. Fino al 1910 aveva vissuto a Franklin, Venango, Pennsylvania, per trasferirsi nel 1920 Dubois. Aveva avuto cinque figli con due matrimoni, il primo con Lavina Lucinda Osman e il secondo, dopo il divorzio, con Margaret Jobe dell'Indiana. Marando moriva una domenica sera nella sua casa al 23 N. Jared st. a Dubois, Clearfield, Pennsylvania dopo una lunga malattia, il 16 marzo del 1964. Alla sua morte gli sopravvivevano il fratello Francesco e le sorelle Francesca e Rachele. Il resto ce lo racconta la seguente storia, qui riproposta come redatta 100 anni fa:
(VIII-1924)
In questi giorni i buoni abitanti di Platì, in Calabria, han visto ritornare uno di loro dall'America, uno che se n'era andato trent'anni fa, quand'aveva sedici anni, col biglietto di terza classe e... il cervello di prima classe. Tommaso Marando è ritornato da Dubois, città di Pennsylvania, ove s'è conquistato una grande ricchezza ed una simpatica popolarità: in tutta la Pennsylvania, ovunque siano italiani, fondatore di associazioni, iniziatore di beneficenza, esempio di patriottismo, apostolo d'italianità è da più anni Tommaso Marando. Quando si trovò, ragazzo solo, alle prime lotte nel tumultuoso ambiente ignoto ebbe assai dura la vita: finchè il lavoro assiduo gli assicurò pane abbondante. Poi il Marando dette allo studio molte e molte ore, strappandole ad ogni divertimento e spesso anche ad ogni riposo; finchè divenne notaio pubblico e cominciò a conquistar la ricchezza. Della ricchezza ha saputo esser sempre intelligentemente generoso e patriotticamente prodigo: basti dire che gli è costato centomila lire quel Concerto di Dubois, ch'egli ha costituito per tener desto negli americani l'entusiasmo per l'arte musicale italiana ...
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