Giovanni Virgara, da Platì a Palermo tra poesia e arte - seconda parte



Giovanni era l'ultimo di sei figli. Nella sua autobiografia del 1991, ricca di storie e aneddoti platiesi, ricorda il matrimonio della sorella Mariannina, avvenuto nel 1920, con il sig. Sebastiano Fascì di Ardore Marina. In quel tempo il padre godeva di una buona posizione economica, per cui essendo la prima figlia a sposarsi non aveva badato a spese. Aveva illuminato il paese con archi di luci di svariati colori, fatto i fuochi d’artificio la sera prima e mortaretti durante il percorso dall’abitazione alla chiesa matrice. Per l’intrattenimento ci si era diretti ad Ardore con tutti gli invitati giunti da diversi paesi della provincia di Reggio. All’epoca non c’era strada rotabile da Platì a Bovalino, il paese più vicino in linea d’aria per cui si era formata una lunghissima carovana di muli e cavalli. Giovanni e la sorella Annunziata, l’unica in vita all’epoca della stesura dell’autobiografia, furono sistemati in due grandi ceste fissate sullo stesso mulo, guidato da un garzone. Il padre con molta vanità, scrive Giovanni, aveva fatto sapere a tutti di aver dato in dote alla figlia, oltre il consueto corredo, ben diecimila lire in contanti. Il pranzo invece era stato riserva specifica del consuocero. Il Virgara senior viaggiava a dorso di cavallo tenendo al fianco un mulo con due grandi ceste piene di confetti. A ogni persona che incontrava lungo il tragitto, offriva manciate di confetti in onore della figlia. Giunti ad Ardore vi erano allestimenti per oltre trecento persone. Da Reggio Calabria erano stati chiamati ben sei cuochi e dodici camerieri dei migliori ristoranti della provincia. Grandi cose per un commerciante di bestiame, a dispetto dei soliti signorotti di Platì.


All’età di cinque anni Giovanni viene affidato all’arciprete del paese, don Antonio Pipicelli, nativo di Natile vecchio. L’obiettivo non era solo l’istruzione in se ma anche indirizzarlo al sacerdozio visto che dopo la morte dello zio prete, l’arciprete Giovanni Sposato ucciso a Oppido, la famiglia aveva deciso che il nostro Giovanni dovesse diventare prete. Per questo il giovane passava giornate intere con don Pipicelli e spesso consumavano anche il pranzo insieme. Dopo le ore di studio del mattino, vi erano altre due ore dopo pranzo per passare poi in chiesa per il vespro e la benedizione e scortato il precettore a casa, il giovane Giovanni poteva rientrare finalmente nella sua abitazione. Avveniva spesso che l’arciprete Pipicelli e l’arciprete di S. Nicola d’Ardore, don Francesco Marando che si recava spesso a Platì per far visita ai suoi congiunti, facevano nel pomeriggio, soprattutto d’estate, lunghissime passeggiate lungo la strada che portava alla montagna per rincasare all’orario serale della benedizione. Durante tale lasso di tempo il giovane studente Virgara doveva restare a casa dell’arciprete per studiare. Or avvenne che un giorno il Virgara intese che nel pomeriggio si sarebbe svolta la solita passeggiata per cui dopo pranzo, uscito dalla propria casa, Giovanni convinto che i prelati sarebbero andati a spasso, pensò di restare a giocare con altri ragazzi del paese per correre in casa dell’arciprete nella presunta ora del ritorno. Ma…



Ma avevo fatto i conti senza l'oste, perché per un motivo che non sono mai riuscito a conoscere, i signori arcipreti, rinunciarono alla loro passeggiata. Si dà il caso che mentre l'Arciprete Pipicelli era affacciato al balcone, passa nella strada sottostante mia sorella Annunziata, a cui l'arciprete chiese il motivo per cui non ero andato a studiare. Mi a sorella, che sapeva che io ero uscito di casa appunto per andare a studiare, ritorna a casa e racconta tutto a mio padre, a mia madre ed a mio fratello Ciccillo. È bene fare qui una breve parentesi, per chiarire che mentre mio padre e mia madre erano molto indulgenti con i figli, (mio padre non ha mai dato un solo schiaffo ad alcuno dei figli), mio fratello Ciccillo ci teneva tutti con due piedi in una scarpa, come si suol dire. Quando mia sorella andò a dire che io non ero andato a scuola, mio fratello disse: “Ora lo vado a cercarlo io" ed uscì insieme a mio padre.  Io che mi trovavo a giocare in una strada con altri ragazzi, quando vidi mio padre scappai per andare in un altro posto, ma - quando le cose devono andare storte - sono andato a finire nelle braccia di mio fratello Ciccillo che subito mi portò a casa. E cosa fece? Mi ha legato ai piedi del letto, mi ha spogliato nudo, nudo e poi, raccolto un bel mazzo di ortiche incominciò a passarmele addosso, mentre io gridavo, piangevo e chiedevo aiuto a mia madre, che però, era impotente nei confronti di mio fratello. Per mi a fortuna in quel momento è sopraggiunto mio padre, che dopo aver rimproverato aspramente mio fratello, mi ha liberato, mentre mia madre non essendo riuscita a farlo desistere, era in un angolo a piangere. Ai rimproveri di mio padre, mio fratello replicò: “L'ho fatto per farglielo ricordare per tutta la vita!” Ed, infatti, l’ho ricordato e lo ricordo sempre. Ma il bello è stato che mio fratello mi aveva punito perché avevo marinato la scuola quel giorno, mentre invece, non son potuto uscire per ben quattro giorni, in quanto non potevo sopportare i vestiti sui brucoli causatomi dalle ortiche. 


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