Hjuri di jinestra - un ricordo di Anna Zappia



Anche quella mattina ci  dovevamo alzare prestissimo. Non lo facevo sempre volentieri. Ma era sempre una grande emozione e se ciò significava evadere dalla quotidianità, mi catapultavo giù dal letto già pimpante. Quel giorno, mia madre mi aveva spiegato che bisognava raccogliere fiori. Precisamente "hjiuri di jinestra" A maggio in particolare, la collina che si ergeva proprio davanti a noi, era un   insieme di colori. E il giallo delle ginestre prevaleva su tutti gli altri.

Iniziavamo a salire verso "Panduri". Lasciavamo le stradine sterrate per arrampicarci su, su, dove gli arbusti erano più rigogliosi. E iniziavamo: avevamo dei sacchi che allacciavamo alla vita per avere le mani libere e poter così raccogliere quei fiori preziosi. Respirando a pieni polmoni e assaporando il profumo che si spandeva da quei piccoli e meravigliosi fiori gialli. Ci aiutavamo aggrappandoci agli arbusti circostanti  a volte anche correndo il rischio di tagliarci le mani se l'arbusto o siepe di fortuna era a "ddisara".

E poi tornavamo giù con il nostro raccolto che veniva successivamente consegnato a  persone che si occupavano di spedirlo per la lavorazione e quindi l'estrazione del profumo. Anni prima, mia madre e le altre donne della zona, dalla ginestra ricavavano i filati per la tessitura, attraverso  procedura lunghe e pazientose, che poi successivamente andavano a tessere coi telai. 

Non so esattamente quanto in realtà aiutassi mia mamma perché non potevo evitare di fermarmi a contemplare il paesaggio, mentre il sole iniziava a colorare di rosso facendo sembrare uno stupendo quadro d'autore l' Aspromonte maestoso. 

coperte di ginestra


Anna Zappia

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