Da uno o da un paio li conosci tutti. Qui a Platì sono tutti infetti. Nella Firenze del Trecento, che era ben più popolosa di Platì, che ora fa 1780 abitanti, Ciacco rivela a Dante che “giusti vi son due”. L’ ex magistrato Romano De Grazia non ne vede neppure uno.
“E che cosa ne pensate”, chiedo a un gruppo di persone, raccolte nel Bar principale del paese e impegnate in una partita di tressette “di questa idea del dr. Romano De Grazia?”. Scatta, come un leone, Pepé Lentini, di lungo e onorato passato amministrativo. “Non penso niente”, risponde. “Mi viene il voltastomaco. Ora siamo giunti all’apice dell’infamia contro Platì. In questo paese ci sono persone serie, oneste, intelligenti, dignitose, capaci non solo di fare il sindaco, ma anche il consigliere regionale, il deputato, anche il ministro”. “Non vi sembra d’esagerare?”. “Per niente. Ci sono in Australia ministri, originari di Platì”.
I giocatori di carte assentono. Vi scorgo tra loro il dr. Franco Mittiga, ex sindaco, ma si astiene da ogni commento. Di persecuzioni contro Platì ne ha viste tante e qualcuna s’è abbattuta anche su di lui, essendo stata l’amministrazione, da lui guidata, sciolta per infiltrazione mafiosa.
Usciamo. Entriamo in un negozietto. La domanda è sempre la stessa. La risposta sempre fiera e sdegnata: “Ben venga. Ma poi deve prendere i voti”. “Direttore”, mi dice con tutto il fisto che ha nei polmoni un giovane popolano: “U paisi è du paisanu”. “E che cosa volete dire?”. “Voglio dire”, riprende”, che il sangue s’arrostisce, ma non si mangia. Ad amministrare ci vogliono i platioti che conoscono i problemi e sanno quello di cui ha bisogno Platì”. “Ma quello di De Grazia è razzismo bello e buono. La ‘ndrangheta non è una prerogativa esclusiva di Platì. C’è anche a Lamezia, la città di De Grazia. Avrebbe ben potuto candidarsi là.
Qua c’è disoccupazione. Mio marito va e viene da Roma, dove fa lavori contadineschi, per mantenere me e i miei figli”, urla indignata una giovane donna che si dà tanto da fare nella Proloco platiese. “Ma siamo fuori dalla democrazia”, esplode il fotografo Callipari. “E quando mai si sono sentite cose del genere? Sapete che vi dico”. “Dite”, incoraggio. “Vi dico che dove la terra è molle, ognuno zappa a fondo”. “Cioè”, incalzo. “Cioè - interviene Saverio Catanzariti - da quando sono finiti i partiti, Platì è diventata una cera che ognuno modella come gli pare e piace. E senza scottarsi le dita. Ora arriva il Redentore, Gesù Cristo”.
“Il Redentore”, ironizza qualcuno. “Cumpari Ntoni, ma chigliu era du so’ paisi”, falcia drasticamente un altro compare. E non ci è riuscito, stava per uscirmi dalla bocca quando uno di quei vecchi che giocava a tressette mi dice: “Professore, vi ricordate, quando a Locri, in un convegno, c’erano Mancini, Principe e voi”. Ricordo. Altri tempi e altri duci. E allora nessun Romano di Lamezia avrebbe osato quello che ha osato adesso.
C’ è malinconia storica.
Mentre ritorniamo, a Rosario Condarcuri, il mio Alberto Mondadori, e ad Ilario propongo: invitiamo qui a «la Riviera» o a Platì Romano De Grazia per una dicussione sul tema: se i liberatori possano venire dall’esterno. Io lo conosco. È una buona persona. Il piede gli è andato in vacante. Ma è sempre in tempo per ritirarlo.
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